L’esposizione Our Place in Space
In quali modi la scienza può ispirare forme d’arte? Per capirlo ci siamo recati a Venezia, presso il Palazzo Cavalli Franchetti sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, nel quale fino al 17 aprile 2017 si tiene la mostra gratuita “Our Place in Space”. Questa esposizione è stata voluta, fra gli altri, dalla curatrice scientifica Antonella Nota, project scientist della missione Hubble per conto di ESA, e dalla curatrice artistica Anna Caterina Bellati le quali, superati i 25 anni dal lancio della missione, hanno voluto portare ad un livello artistico superiore le già favolose immagini riprese dal telescopio forse più conosciuto al pubblico.
La meravigliosa location situata sul Canal Grande non è stata scelta casualmente, come ci spiega la dott.ssa Nota, perché la sua posizione, a 0 m sul livello del mare e circondata dall’acqua, è un ottimo punto di partenza per un viaggio alla scoperta dei misteri del cosmo e di eventuali forme di vita al di fuori del nostro pianeta.
La scintilla che ha dato vita alla nascita della mostra è stato l’incontro casuale delle due curatrici: un’astronoma interessata alle varie forme d’arte e una studiosa di materie artistiche con una passione in astronomia. Le fotografie scattate dal telescopio Hubble non potevano costituire miglior punto di giunzione tra le due discipline.
Ecco dunque che ci addentriamo nella mostra dove ci accoglie per prima una gigantografia dei Pilastri della Creazione, parte della Nebulosa dell’Aquila, circondata dai marmi verdi delle colonne che ne fanno da cornice.
Davanti alla porta che permette l’accesso all’esposizione vera e propria troviamo il modellino di Hubble stesso, fautore principale delle opere d’arte che ci attendono.
Il telescopio è protagonista nella sua interezza, non solo per le immagini che ha prodotto, ma anche perché alcune sue parti gentilmente concesse da NASA sono state utilizzate per dar vita ai quadri che troveremo all’interno. Nell’opera “Di Acqua e di Ghiaccio” l’artista Mario Paschetta ha voluto inserire celle fotovoltaiche dei pannelli solari precedentemente installati su Hubble (riuscite a capire in quale zona del quadro?).
Dania Zanotto ha preso spunto dalla precedentemente citata Nebulosa dell’Aquila per farci ragionare sul concetto di creazione e, allo stesso tempo, su come l’opera dell’uomo stia lentamente distruggendo il nostro pianeta nella sua sete di potere e di guadagno.
Una stanza è dedicata agli aspetti che ci affascinano dei pianeti vicini, come la Grande Macchia Rossa del gigante gassoso Giove o le incredibili aurore di Saturno, oppure ancora la superficie di Marte, di cui oramai possiamo ricavare mappe dettagliate. Il tutto è arricchito dall’opera di Marialuisa Tadei che ci presenta la sua concezione dei pianeti con la tecnica del mosaico.
La stanza successiva è quella che preferiamo: su uno sfondo a tutta parete che ritrae il telescopio si presentano a noi i pannelli solari originali di Hubble sospesi a mezz’aria. Le sottili teche di vetro ci permettono di avvicinarci e osservare gli impatti delle micrometeoriti subiti nel tempo.
Nella stessa stanza è installata una navetta spaziale futuristica dalla quale, grazie ad un lettore dvd, escono suoni che rievocano film fantascientifici e che risaltano nell’assoluto silenzio del palazzo. L’opera, risalente al 2011 e chiamata Mock Up, è di Marco Bolognesi ed è creata con legno, plastica e piccoli giocattoli.
Un’intera stanza viene poi dedicata ai tre pannelli che ospitano la foto più nitida mai realizzata ad oggi della galassia a spirale più vicina alla nostra Via Lattea (2,5 milioni di anni luce), la Galassia di Andromeda. Quella “piccola nube”, così definita nel 964 d.C. dall’astronomo Abd al-Rahman al-Sufi, è stata una pietra miliare nella storia di Edwin Hubble, il quale riuscì a calcolarne la distanza con estrema accuratezza. Il suo studio ha anche reso possibile la conferma di un metodo di classificazione già conosciuto da Jan Oort che prende in considerazione la metallicità delle popolazioni di stelle ed è in uso ancora oggi.
Proseguendo per l’esposizione ci troviamo poi fra le sculture di Sara Teresano. Prendendo spunto dalle fotografie del sistema Arp 273 e di altre galassie l’artista ci propone la sua visione del cosmo modellata con alabastro, la cui natura traslucida richiama l’illusione di poter guardare attraverso quegli ammassi stellari di cui però ancora non possiamo capire le dinamiche nei dettagli.
La penultima stanza ci invita a sederci per qualche minuto e guardare alcuni video che ci spiegano gli aspetti scientifici del telescopio Hubble, la sua storia e le differenze che presenta rispetto al James Webb Telescope il cui lancio è ad oggi previsto per la fine del 2018.
La visione di ciò che l’esplorazione spaziale potrebbe serbarci per il futuro viene infine coronata da un’opera che, sullo sfondo dell’immancabile Ultra Deep Field, riesce ad esaltare sia il talento del cervello umano nell’elaborare tecnologie tanto avanzate, che la sua capacità di immaginazione, senza la quale non ci porremmo le domande che ci portano ad esplorare il nostro Universo.
Intervista alla curatrice scientifica Antonella Nota
Dopo aver visitato la mostra ci siamo intrattenuti per qualche minuto con la Dott.ssa Nota, project scientist di ESA nella missione Hubble, per chiederle il suo punto di vista su questa esposizione.
Q: Com’è nata l’idea di questa mostra?
A: È nata dall’incontro casuale con Anna Caterina Bellati. Lei lavora nell’ambito artistico ma ha un forte interesse per l’astronomia, perciò ci siamo immaginate quanto potesse essere bello dar vita ad una mostra che avesse lo scopo di fondere arte e scienza. Presso l’Agenzia Spaziale Europea cerchiamo sempre ogni opportunità per avvicinare un pubblico sempre più ampio al nostro lavoro e con questa esposizione abbiamo pensato di poter ampliare la fruizione.
Q: Con quale criterio sono state scelte proprio queste foto di Hubble?
A: Il criterio assoluto è stata la loro bellezza. Alcune sono recenti, altre più vecchie, ma non abbiamo guardato la loro età o la loro risoluzione. Le fotografie sono state catturate con strumenti diversi perciò in alcuni casi la risoluzione è migliore di altre perché la tecnologia nel frattempo è avanzata. Hubble è stato riparato e migliorato diverse volte, per cui fra gli strumenti di prima generazione a quelli attuali esiste una differenza, ma ciò che abbiamo voluto mostrare è stata semplicemente la bellezza delle immagini. Abbiamo radunato un comitato scientifico di 5 persone che ci ha aiutato a scegliere le fotografie più belle. Di questo comitato non fanno parte solo astronomi, ma anche divulgatori e persone che non hanno un background scientifico-accademico. Poi, Anna Caterina Bellati, che lavora con tantissimi artisti, ha cercato di recuperarne una ventina che fossero interessati a partecipare a questa mostra e che proponessero opere d’arte in sintonia con il nostro tema e tra questi ne abbiamo selezionati 10. Alcuni di loro avevano già a disposizione opere d’arte esistenti, mentre altri hanno dovuto produrle appositamente per questa mostra.
Q: Dove si possono trovare le altre opere non selezionate?
Ogni artista ha un proprio sito dove poter trovare informazioni sulle centinaia di mostre a cui ha partecipato.
[NDR: I seguenti link sono forniti dal sito ufficiale della mostra Our Place In Space] – Antonio Abbatepaolo, Marialuisa Tadei, Mario Paschetta, Dania Zanotto, Paola Giordano, Marco Bolognesi, Alessandro Spadari, Ettore Greco, Sara Teresano.
Q: Hubble è uno degli strumenti che si è reso più popolare fra il pubblico. Pensa che potrebbe valere la pena creare mostre dedicate ad ognuna delle altre sonde che stanno viaggiando o hanno esplorato il nostro Sistema Solare?
Sì, certo. Ognuna ha un argomento da esporre, dipende solo da come viene concepita la mostra. Nel nostro caso la bellezza delle immagini aiuta molto: una persona può entrare qui senza sapere assolutamente niente di astronomia, ma la connessione fra immagini e arte è immediata, perciò per noi questo aspetto ha funzionato bene, anzi, la mostra è nata proprio da qui. Se parliamo di Curiosity, ad esempio, una mostra focalizzata sui panorami marziani dovrebbe essere concepita un po’ diversamente per attrarre chi è a digiuno di questi argomenti. Quello che ci interessava era anche parlare di un paio di domande fondamentali, quelle su cui lavorano gli astronomi: la nostra Terra è unica? C’è vita nel Sistema Solare oppure è un privilegio del nostro pianeta? Pianeti al di là del Sistema Solare ne conosciamo tantissimi e ora si presuppone che ogni stella abbia un suo sistema planetario, ne abbiamo un esempio con Trappist-1. In questo caso abbiamo voluto lasciare gli artisti liberi di interpretare le risposte. C’è chi ci ha fornito panorami di pianeti extra-solari, come Mario Paschetta con le sue opere Di Acqua e Di Ghiaccio (un pianeta potenzialmente inospitale) e Di Rocce e Di Fuoco (un corpo celeste che potrebbe ospitare la vita); chi ha voluto esaltare l’intelletto umano e la sua capacità di immaginazione nella stanza che ha come sfondo il Deep Field, quell’immagine che ci permette di osservare galassie createsi poco dopo il Big Bang; ma anche la pianta stessa del palazzo Cavalli-Franchetti, di forma circolare, e la sua posizione sul livello del mare ci hanno dato uno spunto per far pensare ed ispirare il visitatore. L’idea non è quella di dare risposte, ma di far ragionare le persone su questi temi e sul tema dell’esplorazione, quel desiderio che ha sempre guidato l’umanità.
Ringraziamo la Dott.ssa Nota e gli organizzatori per la disponibilità e gentilezza e vi invitiamo a visitare la mostra perché il nostro racconto vuol essere solo uno spunto per potervi incuriosire e portarvi a vivere di persona le sensazioni che per iscritto non potranno mai essere raccontate.
Our Place in Space rimarrà aperta fino al 17 aprile 2017 e poi si sposterà a Chiavenna (SO) e a Garching in Germania. Tutte le informazioni sono disponibili sul sito ufficiale.