A Spinoff a Day – Le videocamere high-speed di Orion
I test condotti sulla capsula Orion nel dicembre 2014 sono stati ripresi da videocamere con caratteristiche uniche, ora a disposizione dell’industria.
La nascita dell’idea
L’espulsione dei paracadute durante il rientro di una capsula è un’operazione generalmente abbastanza semplice, ma cruciale. Il volo di test di Orion effettuato nel dicembre del 2014 si svolse egregiamente, ma il risultato fu dovuto ad una serie di eventi pianificati in anticipo e coordinati in maniera precisa per far rallentare un veicolo di 9.500 kg da una velocità di 560 km/h, raggiunta ad un’altitudine di 7.000 metri, fino ad appena 32 km/h nel momento dell’impatto con l’Oceano Pacifico, previsto 4 minuti e mezzo più tardi.
I due piccoli paracadute pilota hanno stabilizzato l’assetto della capsula mentre i tre paracadute principali da 35 metri di ampiezza hanno rallentato il veicolo fino allo splashdown. Tutto è andato per il meglio, come avevamo riportato all’epoca nel nostro articolo, e la prova, tra le altre, ci è arrivata anche dalle riprese a 1.000 frame al secondo effettuate da una videocamera ad alta velocità e ad alta risoluzione presente sulla capsula, creata appositamente per riprendere l’intera sequenza.
Gli ingegneri del Johnson Space Center e di Lockheed Martin, progettisti e costruttori della capsula, volevano uno strumento che avesse una capacità di memoria maggiore rispetto a tutte le fotocamere esistenti al tempo, ma che rispettasse anche ulteriori, particolari, requisiti: “Doveva essere una telecamera con una memoria interna molto capiente, che resistesse alle asperità dell’ambiente estremo e costruita in un contenitore sigillato grazie al quale avrebbe sopportato sia il vuoto dello spazio che le insidie dell’acqua salata dopo l’atterraggio” ricorda Vic Studer, capo della sezione video del Johnson. “Il dispositivo doveva anche essere molto piccolo, leggero e funzionare con poca energia. Nessuna telecamera al mondo aveva queste caratteristiche”, anche se alcune si avvicinavano ai requisiti. La ditta Integrated Design Tools (IDT) di Pasadena è specializzata in videocamere principalmente mirate ai mercati industriale e scientifico, in particolare per l’utilizzo durante i crash test.
Trasferimento tecnologico
Luiz Lourenco, CEO di IDT, ricorda il momento in cui fu contattato da NASA e Lockheed Martin: “Dovevamo proporre una soluzione elegante, ma che fosse allo stesso tempo economicamente vantaggiosa affinché il Governo la approvasse” e alla fine IDT riuscì nell’impresa. “Il nostro orgoglio è che siamo stati in grado di fare ciò che ci era stato richiesto con risorse davvero limitate”.
La maggior parte delle videocamere ad alta velocità sono “mattoni” afferma Lourenco, grandi e pesanti e assolutamente non adatte al volo spaziale, dove ogni kg significa un costo per NASA di decine di migliaia di dollari, inoltre lo spazio a bordo di una capsula è estremamente ristretto. Il dispositivo doveva anche sopravvivere alla violenza del lancio e alle radiazioni dello spazio che avrebbero messo in pericolo l’elettronica, i chip di memoria e il software. Ecco la loro soluzione: la telecamera ultra compatta Os V3 che sta nel palmo di una mano.
La sequenza di comandi definita dal software includeva l’attivazione della videocamera e l’inizio immediato di una registrazione a 1.000 frame al secondo, poi il rallentamento a 60 frame e ancora un aumento a 500 mano a mano che accadevano i diversi eventi, modificando in autonomia le impostazioni di esposizione con il variare della luce. Per pre-programmare questa sequenza di registrazioni l’azienda progettò un processo chiamato “modalità missione”. I parametri (i frame rate, le durate e le velocità di registrazione e di apertura e chiusura dell’otturatore) erano inseriti semplicemente in un file Excel.
La sfida più grande è stata però quella di renderla in grado di effettuare il back-up dei dati alla stessa velocità di acquisizione degli stessi, archiviando ogni frame. La maggior parte della tecnologia attuale studiata per immagini acquisite ad alta velocità salva i video nella memoria volatile, ma in questo modo dopo lo spegnimento si perdono tutti i dati raccolti. Lo strumento doveva quindi salvare i video nella memoria a stato solido prima di spegnersi a causa dello splashdown, e si parlava di trasferire 10/12 Gigabit al secondo in un disco rigido.
Secondo Ken Barkman, leader della sezione Comunicazioni e Tracking della Lockheed Martin per Orion presso il Michoud Assembly Facility, la videocamera ha superato le aspettative. Il suo scopo principale era quello di catturare visivamente lo sganciamento della copertura all’interno della quale sono inseriti i paracadute: “A 500 frame al secondo l’algoritmo della fotocamera regola lo strumento per il repentino cambio di luce, dal buio completo a pieno giorno in pochi millisecondi”, afferma, non mancando di far notare i possibili problemi dovuti alle intense vibrazioni alla quale la capsula era sottoposta.
Tutti i video forniti dalla telecamera hanno dato grande supporto nell’analisi delle immagini dimostrando l’ottima progettazione del veicolo.
Benefici
“Un po’ di questo know-how esisteva già, ma noi abbiamo dovuto adattarlo a quelle stringenti richieste” afferma Lourenco, “Non ci aspettavamo di fare un affare in termini economici, ma è stato un banco di prova per sviluppare la tecnologia che ora vogliamo incorporare nei nostri prodotti”. Alcuni di questi miglioramenti sono già stati inseriti nelle linee IDT: tutte le telecamere della serie Os, dove “O” sta per “Orion”, includono la memoria a stato solido ad alta velocità studiata per la capsula.
Nei crash test delle automobili un’auto è tipicamente dotata di 8 – 16 telecamere dalle quali vengono scaricati i dati, successivamente all’evento e da un dispositivo alla volta. “Durante questi download”, spiega Rick Sutherland, direttore vendite dell’azienda, “Se abbiamo un problema alla telecamera o alla fonte di energia, i dati sono persi”, ma nei crash test che vengono effettuati con i modelli Os tutti i dati sono archiviati entro due secondi dall’impatto.
Anche l’Air Force ha bisogno di supporto video con immagini ad alta velocità per lo sviluppo delle armi e, secondo Sutherland, le memorie di IDT permettono agli aerei in volo di poter verificare diversi ordigni con una sola uscita, senza rimanere in aria inutilmente bruciando carburante mentre si attende lo scaricamento dei dati.
Allo stesso modo, quando le emittenti televisive registrano sequenze con un numero elevato di frame per lo slow-motion, l’intera troupe deve attendere l’archiviazione dei dati, tempi morti che verrebbero minimizzati con la tecnologia di IDT, con conseguente abbattimento dei costi di produzione.
La leggerezza in termini di peso e le dimensioni ridotte sono infine caratteristiche vantaggiose anche per il settore industriale: durante i crash test il veicolo deve pesare come se fosse su strada e 16 telecamere potrebbero inficiare la prova, mentre nei test militari si possono installare i dispositivi sui velivoli predisponendo il comportamento delle videocamere in anticipo tramite file Excel, come ha già avuto modo di provare Boeing su alcuni elicotteri. Anche la Marina Canadese ha già dimostrato il suo interesse nelle videocamere, in primis per gli aspetti di impermeabilità e resistenza a diverse temperature.
Le vendite di IDT sono cresciute notevolmente in seguito al lavoro portato a termine su Orion, come afferma Sutherland: “Il numero di pezzi venduti sta aumentando perché ora possiamo uscire dai settori di nicchia e rivolgerci alle persone”. Nell’autunno del 2015 questa tecnologia è culminata con il rilascio di una telecamera che incorpora quasi tutte le caratteristiche presenti su quella utilizzata per Orion, la Os10 4K.
Per approfondire:
Spinoff nel dettaglio [ENG]
Sito di Integrated Design Tools [ENG]
Video dei test di sganciamento del pannello che custodisce i paracadute
Hi-Tec, il rivenditore italiano delle videocamere IDT [ITA]
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