Non si apre nel migliore dei modi il nuovo anno per l’agenzia spaziale russa. Infatti, nonostante gli annunci ottimistici di questi giorni (RoscosmosTV ha pronosticato addirittura 29 lanci per il 2017), restano ancora da fare i conti con l’eredità di incidenti e anomalie che hanno funestato il 2016 e che potrebbero determinare altri ritardi dei programmi. Riportiamo alcuni aggiornamenti sui due episodi più eclatanti.
L’incidente della Progress MS-04
Il 1° dicembre scorso, dalla piattaforma di lancio 5 del sito 1 di Bajkonur si staccava puntualmente alle 20.51 (ora locale, in Italia erano le 15.51), il razzo Sojuz-U che trasportava verso la Stazione Spaziale Internazionale il veicolo senza equipaggio Progress MS-04. Il cargo aveva a bordo 2,5 tonnellate di rifornimenti (propellenti, ossigeno, acqua, cibo e parti di ricambio) che non sarebbero mai giunte a destinazione. Dopo il volo nominale dei primi due stadi, infatti, il centro di controllo riceveva dal veicolo dati incongruenti (l’inizio con circa due minuti e mezzo di anticipo delle operazioni che avvengono sulla Progress appena raggiunta l’orbita, prima ancora che fosse confermato lo spegnimento dei motori del terzo stadio). La repentina scomparsa dei dati di telemetria, a 382 secondi dal lancio, dava corpo alle ipotesi peggiori.
Al momento della perdita dei contatti, la Progress MS-04 non aveva ancora raggiunto la velocità orbitale e si trovava nello spazio a 190 Km di quota sopra una zona poco popolata della Repubblica di Tuva, uno degli stati della Federazione russa a Nord della Mongolia, poco a Est del Kazakhstan, dal quale è separato dalla Repubblica dell’Altaj. Trascorso poco tempo, notizie e immagini di avvistamenti di bagliori nel cielo notturno dalla Siberia hanno cominciato a popolare i social network russi. Non tutte le segnalazioni (come spesso avviene in questi casi) si sono rilevate autentiche, ma il laconico comunicato rilasciato da Roscosmos a quasi cinque ore dal lancio non lasciava spazio a dubbi: il lancio era fallito e la maggior parte dei resti del cargo spaziale si erano inceneriti nel rientro negli stati densi dell’atmosfera.
Alcuni frammenti sono comunque giunti a terra. I primi ritrovamenti sono stati annunciati il 2 dicembre, a 60/70 km est di Kyzyl, il giorno successivo è stato rinvenuto il resto più grande, un serbatoio sferico del diametro di circo 90 cm, scoperto nel distretto di Ulug-Khem, sempre ad est della capitale di Tuva.
Come già avvenuto in passato in casi come questo, l’agenzia spaziale russa rassicurava circa il futuro degli astronauti sulla ISS: la perdita dei rifornimenti non avrebbe influenzato il futuro della missione. In seguito le autorità russe hanno voluto anche precisare che veicolo e vettore erano assicurati per una somma di 2,135 miliardi di rubli, pari a più di 33,130 milioni di euro.
Il 3 dicembre Roscosmos dava notizia dell’istituzione di una Commissione governativa di indagine sull’incidente, presieduta dai rappresentanti dei vertici di Roscosmos, Igor Komarov e Alexander Ivanov. In modo abbastanza sorprendente si segnalava anche il 20 dicembre come data in cui sarebbero stati comunicati i primi risultati dell’inchiesta.
Le indagini sull’anomalia del 1° dicembre
Si è trattato di una previsione molto ottimistica. Nei fatti, l’analisi dell’accaduto e la ricerca della cause si sono rivelate molto più complesse e difficili e il termine del primo rapporto è stato più volte rinviato. Mentre scriviamo è ancora in programma per il 9 gennaio.
L’attesa ha alimentato leaks e indiscrezioni, riportate da vari organi di informazione russi e discusse in siti specializzati come russianspaceweb.com e novosti-kosmonavtiki.ru. È apparso subito chiaro come la principale difficoltà dell’indagine sia legata alla mancanza di informazioni. Infatti la telemetria del Sojuz si è interrotta completamente, dopo qualche interferenza, a T+382,2 secondi, seguita da quella della Progress un paio di secondi dopo, ed entrambe non sembrano contenere segnalazioni di situazioni anomale, in grado di orientare le ricerche. Anche i resti precipitati sulla terra sono troppo scarsi per fornire supporto all’analisi (gli esperti avevano ipotizzato che un 10% del veicolo sarebbe sopravvissuto al rientro, ma quanto rinvenuto sembra essere molto meno). Alla Commissione non è rimasta altra via che vagliare uno per uno i possibili scenari, ricavandone modelli da confrontare con i dati. Alcuni elementi, la cui attendibilità è ovviamente da prendere con le molle, sono stati ufficiosamente divulgati.
Nelle prime ore dopo l’incidente, per giustificare la repentina interruzione delle telemetria, si era pensato all’esplosione di una camera di combustione dei propulsori del terzo stadio, prodotta dalla presenza corpi estranei o da qualche difetto di costruzione. In seguito ha però preso corpo l’ipotesi dell’attivazione della procedura di spegnimento di emergenza dei motori, che in certe condizioni può essere innescata automaticamente dal sistema di guida inerziale dello stadio. Di tale comando non c’è traccia nella telemetria, ma la lacuna potrebbe essere dovuta ai disturbi del segnale che si sono verificati due decimi prima della sua totale scomparsa. Avvalorava questa congettura anche un report pubblicato per errore il 7 dicembre sul sito web del Centro Controllo Missione e subito rimosso. L’immediata smentita ufficiale di Roscosmos dichiarava prive di rapporto con la realtà tutte le voci in circolazione sulle cause dell’anomalia.
Un altro possibile scenario è stato proposto qualche giorno dopo da Anatoly Zak su russianspaceweb.com. L’idea di fondo è che il problema sarebbe stato innescato da un distacco anticipato, almeno 140 secondi prima di quanto programmato, della Progress dal Sojuz. In circostanze normali la separazione pirotecnica viene comandata dal vettore, una volta raggiunta l’orbita. Il comando, tuttavia, può essere attivato anche dal cargo che è dotato di un sistema di backup per questa operazione.
Le cause che avrebbero prodotto il distacco mentre ancora i motori RD-0110 spingevano a pieno regime, sarebbero tutte da comprendere. Ammesso però che ciò si sia verificato, diventa più semplice intrepretare gli altri fatti noti. Il computer di bordo della Progress avrebbe reagito alla separazione, iniziando le operazioni normalmente previste dopo l’inserimento in orbita e registrate nella telemetria, quali il dispiegamento delle antenne del sistema di rendezvous Kurs e la pressurizzazione dei thruster del controllo di assetto. Successivamente si sarebbero verificate delle collisioni tra il veicolo cargo e il terzo stadio ancora in fase di volo propulso; proprio in questi urti potrebbero essere state danneggiate le antenne della telemetria del Sojuz, il che spiegherebbe l’immediata scomparsa dei dati.
Una settimana dopo, altri media russi, come la radio Govorit Moskva, hanno invece diffuso la notizia che all’origine dell’anomalia ci sarebbe l’esplosione del serbatoio dell’ossigeno del terzo stadio (come gli altri alimentato a cherosene e ossigeno liquido), determinata da un cedimento strutturale o indotta da qualche altro malfunzionamento dei motori o delle turbopompe. Le conclusioni delle indagini, secondo tali indiscrezioni, tenderebbero ad escludere un ruolo attivo della Progress nell’incidente.
Fin qui le illazioni. È invece un fatto accertato e confermato dagli interessati, la richiesta di aiuto che, secondo l’edizione online di Izvestia, Roscomos avrebbe rivolto alla NASA. Si tratta sicuramente di evento eccezionale (e il noto quotidiano russo non manca di sottolinearlo), tanto più che l’indagine riguarda un veicolo operativo da decenni, del quale gli esperti americani non possono avere una conoscenza tecnica specifica, paragonabile a quella dei loro colleghi russi.
Qual è allora il senso di questa collaborazione? Come chiariscono le dichiarazioni a Izvestia di Vladimir Solntsev, Direttore Generale di Energia, l’impresa produttrice dei veicoli Sojuz e Progress, e membro della commissione di inchiesta, nel corso delle indagini sono state fatte ampie ricerche riguardanti altri simili incidenti occorsi dagli anni ’70 del secolo scorso fino ad oggi; la NASA è stata interpellata per avere informazioni su anomalie che possano avere qualche analogia con quella che si sta analizzando e su altre questioni di carattere più generale. Non si può nemmeno escludere il significato “politico” di un simile appello. Se, come sembra, il fallimento ha avuto origine dal lanciatore, è molto importante, per il futuro della collaborazione tra USA e Russia, che non ci siano ombre sul lavoro di indagine. Il Sojuz-U condivide la maggior parte dei suoi sistemi con il Sojuz-FG che trasporta gli astronauti alla stazione spaziale: ogni dubbio sulla sua affidabilità si trasformerebbe immediatamente in una minaccia per la sicurezza dei voli con equipaggio.
Il Proton in stand-by
È quindi abbastanza ovvio che non ci saranno altri lanci dei vettori della famiglia Sojuz (inclusi quelli gestiti da Arianespace) fino a che l’inchiesta non sarà giunta a conclusioni chiare e definitive, e non si siano messi in opera eventuali aggiornamenti o modifiche che essa avrà indicato come necessari.
La cosa risulta piuttosto spiacevole per Roscosmos, soprattutto nel momento in cui anche l’altro storico lanciatore russo, il Proton, pare mostrare difficoltà a riprendere il consueto ritmo di lanci, dopo un’anomalia, questa volta di lieve entità, che ha caratterizzato il suo ultimo volo, il 9 giugno scorso. In quell’occasione, un lancio commerciale destinato a immettere in GTO il satellite per telecomunicazioni Intelsat-31, il secondo stadio si spense 9 secondi prima del previsto, lasciando all’upperstage Briz-M il compito di riguadagnare i 28 m/s non raggiunti dal suo predecessore e di portare il payload sulla traiettoria prevista.
Nei mesi successivi Khrunichev, il produttore del Proton, ha intrapreso un’indagine sulle cause del problema e sulle modifiche da implementare per eliminarlo. I risultati di tale inchiesta non sono mai stati resi noti al pubblico, che ha solo potuto prendere atto dei ripetuti rinvii del successivo lancio, anch’esso finalizzato a mettere in orbita un satellite per comunicazioni denominato Echostar-21. Il volo, che ai tempi del contratto era previsto per la fine del 2015, dal 25 giugno 2016 è stato rimandato al 29 agosto, al 10 ottobre, al 23 novembre, al 22 dicembre, al 28 dicembre e infine al 31 gennaio.
I rinvii di dicembre non sembrano essere collegati con l’anomalia di giugno, anche se in merito le informazioni sono state diffuse con una parsimonia che sembra ricordare i tempi sovietici. Il 23 dicembre Roscosmos si è limitata a dichiarare che il lancio veniva posticipato “per effettuare ulteriori controlli del veicolo di lancio e dei sistemi dello stadio superiore”. Successive voci che riferivano della necessità di disassemblare il razzo per riportarne uno stadio agli stabilimenti Khrunichev di Mosca, sono state prontamente smentite. Secondo russianspaceweb.com, lo stadio con problemi sarebbe il primo e il ritardo sarebbe dovuto all’esecuzione, a Bajkonur, della sostituzione di un pezzo difettoso.
In sostanza, se tutto va bene, il Proton tornerà a volare dopo più di sei mesi di pausa, e il 2016 sarà ricordato come uno degli anni peggiori della sua lunghissima storia, chiudendosi con un attivo di soli tre voli (oltre a quello di Intelsat 31, il 9 giugno, ci sono stati Eutelsat 9B, il 30 gennaio, e, naturalmente, come sanno bene i lettori di AstronautiNEWS, ExoMars, il 14 Marzo). Infatti, pur avendo una carriera caratterizzata da una percentuale piuttosto elevata di insuccessi (superiore all’11% e talvolta anche con due fallimenti in uno stesso anno, come avvenuto recentemente nel 2012 e nel 2014), il Proton ha sempre effettuato un buon numero di lanci (spesso anche 10 o 12 all’anno, con il record di 14 nel 2000): occorre andare indietro fino al 1972 per trovare un risultato pari a quello attuale.
È evidente che questa crisi non è dovuta soltanto ai ritardi e ai fallimenti, ma anche ai recenti cambiamenti nel mercato dei lanciatori e al presentarsi in scena di un’agguerrita schiera di concorrenti. Non a caso nel settembre scorso, mentre ancora era pendente, come oggi, il ritorno al volo, ILS (International Launch Services, ossia l’azienda che commercializza i voli di Proton e Angara) annunciava la disponibilità tra 2017 e 2018 di due nuove versioni, “Medium” e “Light”, del lanciatore. La versione leggera, è notizia del 29 dicembre, intende sfidare apertamente il Falcon 9 sul piano della convenienza; il prezzo di un lancio si aggirerà infatti tra i 50 e i 55 milioni di dollari, a fronte dei 60 del vettore di SpaceX.
Il calendario dei prossimi voli russi
Il tempo mostrerà l’esito di questa competizione. Per il momento il 2016 è stato mestamente archiviato con 19 lanci (contando la Progress MS-04 distrutta e i due Sojuz lanciati da Kourou), portando la Russia la terzo posto, dietro Stati Uniti e Cina, in una classifica in cui primeggiava ininterrottamente dal 2004.
A tutt’oggi sembra difficile ipotizzare che quest’anno possa risultare molto migliore, considerati anche i tagli recentemente decisi nei voli verso la stazione spaziale. Il calendario del primo trimestre 2017, già diffuso da Roscosmos, prevede appena quattro voli, tre dei quali a rischio rinvio a seguito dell’inchiesta di cui abbiamo parlato.
Per il programma commerciale sono programmati il 28 gennaio, da Kourou, il lancio di un Sojuz ST-B con il satellite Hispasat AG-1, e il 31, da Bajkonur, del Proton-M con il satellite EchoStar 21. Per quello della Stazione spaziale il 21 febbraio sarà lanciato il cargo Progress MS-05 e il 27 marzo la Sojuz MS-04 (la prima con un equipaggio di soli due astronauti, membri dell’Expedition 51: il russo Fyodor Yurchikhin e lo statunitense Jack Fischer). Per gli aggiornamenti su queste date è opportuno tenere d’occhio il nostro calendario astronautico, ora anche in versione timeline.