La navicella Sojuz compie 50 anni!
Era il 28 novembre del 1966 quando per la prima volta una navicella Sojuz veniva lanciata in orbita, inaugurando una fortunata serie che ancora oggi dopo mezzo secolo, rimane l’unico mezzo di accesso allo spazio per russi, statunitensi, europei ed astronauti di tutti gli altri paesi. Salvo la Cina che da oltre dieci anni si è resa autonoma con la propria Shenzhou, derivata però proprio dal progetto Sojuz.
La missione della prima Sojuz, nella versione originale 7K-OK esemplare n°02, avvenne sotto la designazione di Kosmos-133 e fu il culmine di 4 anni di intenso lavoro di progettazione, sviluppo, realizzazione e test da parte dell’OKB-1 design bureau (ora RKK Energia) di Sergei Korolev, il progettista capo di tutto il programma spaziale sovietico, che però non potè assistere alla realizzazione del progetto in quanto morì nel gennaio del 1966.
Il fatto che oltre alla navicella questo fu anche il debutto dell’omonimo vettore R-7 Sojuz 11A511, attualmente ancora il più usato ed affidabile al mondo, rende bene l’idea di come fossero intensi quegli anni di corsa allo spazio.
La missione originale prevedeva addirittura il rendez-vous e successivo docking con un’altra navicella Sojuz (n°01) che avrebbe dovuto essere lanciata il giorno successivo e fungere da bersaglio passivo, ma alcuni problemi con la Sojuz n°02 già in orbita fecero annullare il secondo lancio.
Dopo aver lasciato la rampa di lancio 31 del cosmodromo di Bajkonur alle 14.00 ora di Mosca ed aver raggiunto un’orbita di 180 x 232 km inclinata di 51°, la Sojuz n°02 dispiegò correttamente i pannelli solari e le antenne ma, per un problema sorto dopo la separazione dal terzo stadio del vettore, cominciò a ruotare su se stessa in maniera incontrollata al ritmo di due rivoluzioni al minuto.
La telemetria inviata al centro di controllo indicava che, sempre dopo la separazione dal terzo stadio, i serbatoi di propellente del sistema di rendez-vous, di controllo d’assetto primario e di backup, si erano inspiegabilmente svuotati.
Questa situazione era naturalmente incompatibile con il prosieguo della missione prevista e la seconda Sojuz rimase quindi a terra.
A livello politico venne quindi presa la decisione di annunciare, come di consuetudine per quei tempi e sempre a lancio ampiamente avvenuto, la missione come Kosmos-133, nonostante inizialmente fosse stato stabilito che se tutto fosse andato per il meglio sarebbe stata ufficialmente la prima missione Sojuz.
Nonostante il problema di assetto la nuova navicella inviava a terra regolarmente tutti i dati telemetrici, indicando che i restanti sistemi di bordo funzionavano correttamente.
Nei due giorni successivi vennero effettuati cinque tentativi di rientro, utilizzando i piccoli propulsori di assetto rimasti operativi, ma nessuno di questi riuscì nell’impresa.
Addirittura, durante un tentativo utilizzando i gas di scarico della turbopompa di uno dei sistemi di backup, la Sojuz si ruotò nella posizione opposta e capovolta rispetto all’orientamento richiesto, indicando chiaramente che il sistema era stato settato all’inverso durante le fasi di prelancio.
In seguito a questo episodio, il reparto responsabile del controllo d’assetto, ammise chiaramente di aver confuso i termini orario ed antiorario usati nelle linee guida per l’installazione dei propulsori.
Tutte le speranze di far tornare a terra la Sojuz caddero sul motore principale che, con inedite molteplici brevi accensioni assistite dai piccoli motori di orientamento, avrebbe potuto compensare nonostante l’alto margine di errore, alla mancanza di un vero e proprio controllo d’assetto.
Finalmente alle 14.25 ora di Mosca del 30 novembre, durante la 34° orbita e dopo un paio di tentativi abortiti, il rientro in atmosfera avvenne definitivamente e la separazione tra il modulo di rientro, modulo di servizio e modulo orbitale venne registrata cinque minuti dopo sopra la città di Guriev nel sud della Russia.
I radar d’inseguimento a terra seguirono la discesa fino ad un’altitudine di 70 km circa sopra la città di Orsk, dopodichè ne persero ogni traccia.
La versione ufficiale riporta che il sistema di guida automatico abbia autodistrutto la capsula dopo aver calcolato che la traiettoria di atterraggio l’avrebbe condotta in territorio cinese.
Testimonianze dirette e fotografiche del rientro infuocato vennero riportate dal Giappone e nessun detrito del modulo di rientro è mai stato ritrovato.
Nonostante tutti i problemi riscontrati la prima missione della Sojuz non venne considerata un fallimento, anche se rimase un segreto in URSS fino al 1985. Una mole enorme di dati venne raccolta e subito analizzata per le successive missioni, il sistema di controllo di volo si era ben comportato ed anche l’esperienza accumulata con le accensioni multiple del motore principale era di enorme importanza.
Dopo questo primo volo la Sojuz 7K-OK venne man mano aggiornata e modificata numerose volte, passando per la versione OKS, la 7K-T e la 7K-T/A9 per raggiungere le stazioni spaziali degli anni ’70, la 7K-TM dell’Apollo Sojuz Test Project del 1975, la T del 1976, la TM del 1986, la TMA del 2003, la TMA-M del 2010 e la nuova MS di quest’anno che sarà l’ultima evoluzione prevista.
In questo suo strepitoso percorso ha ampiamente superato ogni aspettativa da parte dei propri progettisti, ha visto scorrere le missioni statunitensi Gemini, Apollo, Skylab e Space Shuttle e recentemente le missioni cinesi Shenzhou.
Come già detto ha servito diverse stazioni spaziali quali le Salyut, Almaz, Mir e dal 2000 la ISS, presso cui si aggancia regolarmente almeno quattro volte all’anno.
Purtroppo ha subito anche dei fallimenti (Sojuz-1 ed 11) con la perdita degli equipaggi, ma in compenso ne ha salvati altri come i cosmonauti della Sojuz T-10 allontanati dall’esplosione in rampa del vettore ed altri dal rientro in un lago ghiacciato (Sojuz-23) .
Dai prossimi anni ’20 verrà affiancata e sostituita dalla nuova navicella Federatsiya, in corso di sviluppo a cui auguriamo ogni successo, ma questa sarà sicuramente un’altra storia…
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