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OSIRIS-REx è partita

Il lancio di OSIRIS-REx con l'Atlas V di ULA, avvenuto l'8 settembre 2016. Credits: NASA/ULA

La missione NASA diretta verso l’asteroide Bennu è partita regolarmente stanotte. Si è trattato di un lancio assolutamente “nominale” (espressione un po’ blasé con la quale i tecnici indicano una procedura perfetta): durante il conto alla rovescia non si è manifestata alcuna anomalia, un fatto quasi senza precedenti.
Il vettore, un Atlas 5 di United Launch Alliance, si presentava in una configurazione insolita, con un singolo booster a propellente solido collegato al primo stadio a rovinarne la simmetria.
Dopo 4 minuti, è avvenuta la separazione dello stadio superiore Centaur, che con una accensione di 8 minuti ha portato il carico pagante in un’orbita terrestre di parcheggio. Una successiva accensione, di 7 minuti, ha immesso la sonda in una traiettoria interplanetaria che la porterà a destinazione.

video ufficiale del lancio di ULA

Si è trattato del 136mo lancio riuscito consecutivo di un Atlas negli ultimi 23 anni, del 65mo eseguito da un Atlas 5. Il record di ULA viene così aggiornato a 111 lanci in 10 anni.
OSIRIS-REx (prodotta da Lockheed Martin) ha poi esteso i suoi due pannelli solari ed ha trasmesso il suo status a terra, con una comunicazione ricevuta dalla stazione australiana di Canberra. La sonda risulta essere in perfette condizioni.
La missione prevede ora che il veicolo ritorni verso la Terra nel tardo 2017, per beneficiare di una spinta gravitazionale che la porti, nell’agosto 2018, ad intercettare l’asteroide Bennu. La permanenza nei pressi dell’asteroide dovrebbe durare 3 anni circa.
Qui, grazie alle sue notevolissime capacità di manovra assicurate dai 28 thrusters e dall’abbondante idrazina imbarcata, OSIRIS-REx comincerà una danza intorno al corpo celeste, con passaggi iperbolici, orbite ed osservazioni stazionarie; il passaggio più ravvicinato la porterà a circa un chilometro dalla superficie di Bennu.
Si tratta di un asteroide con una composizione chimica e minerale molto primitiva, ricca di carbonio. La sua analisi permetterà agli scienziati di immergersi, letteralmente, nell’ambiente primordiale che ha dato origine al sistema solare e, in ultima analisi, alla vita sulla Terra.
Allo scopo, la sonda dispone di numerose telecamere, di un telescopio da 8 pollici, di un altimetro laser per mappature in 3D della superficie con risoluzione centimetrica, e di ben tre diversi spettrometri, operanti su diverse lunghezze d’onda per identificare minerali e molecole organiche.
Dopo un paio d’anni di osservazioni a distanza, utili anche per affinare il volo nei pressi di un asteroide di questo tipo, OSIRIS-REx dovrebbe usare un braccio di tre metri per raccogliere un campione della superficie di Bennu, con una manovra di “touch-and-go” (“tocca-e-riparti”). L’avvicinamento sarà molto dolce, circa 10 centimetri al secondo, anche perché non è possibile sapere con esattezza quale sarà la “resistenza” offerta dall’asteroide. L’obiettivo di questa fase è raccogliere almeno 600 grammi di regolite (con un massimo teorico di quasi quattro chili); per raggiungerlo sono disponibili ben tre tentativi.
La raccolta dei campioni segnerà il termine della permanenza di OSIRIS-REx nei pressi di Bennu: la sonda si allontanerà a distanza di sicurezza per poi attendere pazientemente l’apertura di una finestra di partenza verso la Terra, nel marzo 2021. Il viaggio di ritorno durerà due anni, al termine dei quali OSIRIS-REx sgancerà un contenitore munito di scudo termico e paracadute che porterà a terra i campioni raccolti. L’atterraggio è previsto alle 9 locali del 24 settembre 2023, presso il poligono dello Utah.
Il materiale verrà così spartito: circa il 20% al team OSIRIS-REx; il 4 % andrà al Canada, che ha contribuito alla missione con l’altimetro laser; uno 0,5% al Giappone, in cambio della collaborazione offerta sulla missione Hayabusa; il rimanente verrà stoccato in attesa di esami da effettuarsi con strumenti ancora da inventare.
Ma l’avventura di OSIRIS-REx potrebbe anche non terminare qui: dopo aver sganciato il suo prezioso carico, la sonda effettuerà una manovra correttiva per portarsi in una orbita di parcheggio intorno al sole. Al momento non è ancora ipotizzato un suo riutilizzo, ma la storia astronautica recente ci insegna che la vita operativa dei veicoli esplorativi normalmente va ben oltre i limiti inizialmente richiesti, ed è sempre più frequente che vecchie sonde vengano impiegate in nuove missioni.
Un altro aspetto importante di questa missione è che essa raccoglierà dati determinanti per stabilire con la miglior precisione possibile l’orbita dell’asteroide Bennu, che presenta una remota possibilità di collisione con la Terra verso la fine del 22 secolo. Per questo verrà dedicata grande attenzione alla misura del cosiddetto effetto Yarkovsky, un fenomeno per il quale un corpo celeste opaco assorbe energia dal sole riscaldandosi, per poi riemetterla verso lo spazio con una conseguente spinta che ne muta la traiettoria.

Una immagine NASA che riassume l’effetto Yarkowsky

fonte: NASA

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