Lo scorso 24 giugno il popolo del Regno Unito si è espresso a favore della volontà di lasciare l’Unione Europea. Si tratta di una decisione politica inattesa ed epocale, che sta iniziando a far sentire le sue conseguenze in tutti gli ambiti sociali ed economici del vecchio continente.
Anche la ricerca aerospaziale subirà dei contraccolpi, ma in questo momento di incertezza è bene non fare confusione e puntualizzare ciò che sappiamo con certezza e ciò che invece, almeno per ora, non può che restare nebuloso perché dipendente dalle trattative del “Brexit”.
Iniziamo col fare subito chiarezza su un fatto: ESA non è l’agenzia spaziale dell’Unione Europea. Si tratta sì di una istituzione sostanzialmente europea, ma tra gli stati membri vi sono paesi non aderenti all’Unione, così come stati europei e non che partecipano attraverso varie forme di accordo specifico. ESA ha 22 stati membri veri e propri: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Repubblica d’Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito (sottolineati, i paesi non parte dell’Unione Europea, ndr).
Il Canada partecipa alle attività ESA attraverso accordi di collaborazione, così come Bulgaria, Cipro, Lituania e Malta. Lituania. Lettonia, Slovenia e Slovacchia partecipano nel contesto del Piano per gli Stati Europei Cooperanti (PECS).
In questo senso, dunque, l’uscita del Regno Unito dall’Unione non cambierà il suo status di paese membro dell’ESA.
I rapporti di lavoro dei cittadini UK in ESA
I lavoratori con cittadinanza britannica diverranno, di fatto e di diritto, extracomunitari nel momento in cui le procedure di uscita dell’UK dalla UE saranno complete. Le conseguenze si faranno sicuramente sentire sulle due categorie di impiegati ESA:
- I “contractor”, cioè lavoratori non direttamente dipendenti ESA ma che lavorano in seno all’agenzia, vengono normalmente assunti da aziende di servizi EU aventi quasi sempre sede legale nel paese dove sorge lo specifico centro ESA. Questo significa che al tempo della stipula hanno usufruito delle facilitazioni burocratiche previste per i cittadini UE, consistenti nella quasi totale mancanza di permessi aggiuntivi da allegare al contratto (es. permesso di residenza, permesso di lavoro, certificazioni di stato civile ecc.) anche se stipulato in un paese straniero. Con il venir meno dello status di cittadino UE, tali benefici decadono, così come viene a mancare uno dei requisiti a suo tempo obbligatorio per ottenere un contratto di lavoro valido nel territorio dell’UE. Si tratta della situazione forse più delicata, in quanto tecnicamente i contratti di lavoro potrebbero essere annullabili.
- Gli “staff” ESA, cioè lavoratori direttamente assunti dall’Agenzia Spaziale Europea, potrebbero subire conseguenze a seconda delle norme di diritto del lavoro applicate dal paese UE prescelto per la stipula del loro contratto. La situazione è quindi potenzialmente molto disomogenea, con ricadute legate alle particolari differenze tra lavoratori con passaporto UE ed extracomunitari (per gli appassionati di diritto, un approfondimento qui) molto difficili da valutare a priori.
Vanno poi considerati i lavoratori (sia contractor che staff), del nuovissimo stabilimento ECSAT di Harwell, aperto dopo che alla scorsa Ministeriale il Regno Unito aveva aumentato in modo consistente la sua contribuzione al budget di ESA. In questo caso saranno da regolare le posizioni di tutto il personale non britannico, che di fatto si troverà a lavorare in un paese extracomunitario. Si tratta di un caso unico, ad oggi, tra i paesi che ospitano centri ESA.
I programmi spaziali
Con ogni probabilità la partecipazione del Regno Unito a programmi puramente ESA non subirà conseguenze negative. L’UK avrà uno status simile a quello di Svizzera e Norvegia, stati membri ESA ma non appartenenti all’UE.
Altri programmi, invece, saranno certamente impattati in modo rilevante perché finanziati e/o partecipati dal Regno Unito come stato membro dell’Unione. Al momento non è possibile quantificare l’impatto economico e legale del “brexit” in questi specifici ambiti: molto dipende da quando il governo di Londra deciderà di inoltrare la comunicazione ufficiale di voler lasciare l’Unione (il primo passo ufficiale del processo) e da quanto tempo dureranno le trattative conseguenti, ma come minimo si tratta di due/tre anni da ora.
Ecco qualche dettaglio sui programmi spaziali che potrebbero subire i maggiori contraccolpi:
- Galileo: si tratta di un programma per la creazione di un sistema di posizionamento globale civile voluto e finanziato dall’Unione Europea come alternativa al sistema americano GPS (che rimane di proprietà e controllato dal Ministero della Difesa USA). La sua entrata in servizio è prevista per la fine del 2019 e conterà 30 satelliti orbitanti su 3 piani inclinati rispetto al piano equatoriale terrestre di circa 56° e ad una quota di circa 23.000 km. ESA svolge, nel contesto del programma, un importante ruolo di consulenza tecnica e ne cura tutte le operazioni di lancio e LEOP. Il Regno Unito partecipa al programma come stato membro dell’UE, ma anche come stato membro di ESA.
- Copernicus: precedentemente conosciuto con la sigla GMES (Global Monitoring for Environment and Security), è il programma voluto e finanziato dell’Unione Europea per istituire una rete di monitoraggio delle condizioni climatiche e ambientali globali. Si tratta di un sistema di sistemi composto di satelliti, strumenti scientifici a terra e in volo in grado di fornire agli organi politici e decisionali dati e informazioni aggiornate sullo stato di salute della Terra, così come la capacità di raccogliere informazioni in tempi rapidissimi in caso di disastri naturali. Come per Galileo, ESA cura le operazioni di lancio e LEOP dei satelliti Sentinel, mentre le operazioni si svolgono in modo coordinato con EUMETSAT. Il Regno Unito partecipa al programma come stato membro dell’UE, ma anche come stato membro di ESA e di EUMETSAT.
La fonte delle incertezze: come separare attività profondamente integrate
Dal momento in cui l’UK darà notifica della sua volontà al Consiglio europeo, partirà un periodo “buffer” di due anni durante i quali si potranno stipulare accordi tra le due parti. La storia insegna che buoni trattati richiedono tempo e concessioni, e sono in molti a domandarsi se 24 mesi siano un periodo sufficiente a definire i complessi aspetti del “brexit”. Non sappiamo, per esempio, se tutti i paesi membri dell’UE saranno d’accordo su cosa e quanto concedere all’UK rispetto a qualunque altro paese extracomunitario, e quanto le spinte centrifughe che in questo momento percorrono le varie componenti del Regno Unito potranno pesare sul fruttuoso andamento delle trattative. Non sappiamo come verrà affrontato il nodo finanziario del possibile recesso UK da programmi spaziali da milioni di euro, per i quali il paese d’oltremanica ha già stanziato i fondi.
Si tratta di una sfida per le istituzioni coinvolte che, si spera, non porterà a spreco di denaro, conoscenze e professionalità, né alla chiusura di programmi per l’improvvisa mancanza di un partner fondamentale.
Le regole di questo referendum hanno impedito a molti cittadini UK espatriati di votare, se residenti all’estero da oltre 15 anni. Si tratta di un caso molto frequente negli ambienti di ESA ed EUMETSAT, dove molti britannici occupano posizioni da contractor o da staff ESA (anche di primaria responsabilità) da lungo tempo. Al di là delle rassicurazioni dei politici, per queste persone è iniziato un periodo di ansia e incertezza che speriamo finisca il prima possibile, e con il minor danno possibile.
Questo articolo vuole essere solo una prima analisi dell’impatto del “Brexit” sul mondo arospaziale. AstronautiNEWS segurirà con attenzione l’evolversi della situazione e continuerà ad informarvi tempestivamente sugli sviluppi.