Vostochny: recuperati i resti del Sojuz dopo il lancio inaugurale
A Vostochny si è ormai completato il collaudo di tutte le strutture e di tutte le operazioni connesse al funzionamento del nuovo cosmodromo; infatti – dando alla notizia un rilievo insolito e accompagnandola con immagini che raramente si sono viste in occasione dei lanci precedenti – Roscosmos ha comunicato che, nei giorni immediatamente successivi al lancio inaugurale del 28 aprile, si sono messi all’opera anche gli ultimi attori, ovvero le squadre di ricerca dei resti delle parti del vettore Sojuz 2-1A non destinate a raggiunge l’orbita.
A differenza di quanto avviene per i lanci dal continente americano, i razzi che decollano da Vostochny (così come da Bajkonur o da Plesetsk) non si dirigono subito verso il mare, ove possono lasciar cadere booster o primi stadi senza rischi, ma devono sorvolare le zone scarsamente popolate delle steppe siberiane, disseminandole di rottami, via via che si liberano dei pesi inutili.
Le squadre di ricerca, composte da personale dello spazioporto e da rappresentanti delle autorità locali e di organizzazioni per la salvaguardia dell’ambiente, si sono attivate subito dopo il lancio, utilizzando tutti i mezzi necessari per raggiungere le zone più remote: elicotteri, fuoristrada e anche un piccolo drone. La caduta dei frammenti – era la prima volta che si usava in questo tipo di situazione – è stata tracciata con l’ausilio di un radar.
Anche senza questo strumento, ovviamente, la ricerca non si sarebbe svolta del tutto alla cieca, ma in regioni circoscritte, già stabilite al momento della definizione del profilo del volo. Per l’appunto nella zona prevista, denominata con il codice 981, a 360 km da Vostochny, nella regione Amurskaya, sono stati rinvenuti quasi subito tre dei booster che costituiscono il primo stadio del Sojuz e che vengono abbandonati appena due minuti dopo il liftoff. Il quarto è stato trovato solo il 1° maggio. Precipitati da una quota di 60 km, i razzi laterali dalla caratteristica forma conica e lunghi un ventina di metri, si presentavano sorprendentemente integri, per quanto piegati ad ammaccati dalla caduta.
In condizioni assai diverse apparivano i resti dello stadio centrale che dopo aver raggiunto i 180 km di quota erano in gran parte bruciati nel rientro. Il luogo del loro ritrovamento è stato ovviamente diverso e più lontano, presso il villaggio Vilyuysk, a 1400 km dal cosmodromo. Più o meno nella stessa zona si sono cercati anche i frammenti del fairing, in fibra di carbonio, che proteggeva i tre satelliti alla partenza.
La presenza delle squadre di esperti ambientali era motivata dall’esigenza di valutare le conseguenze della caduta di parti di un veicolo spaziale su territori finora vissuti in un incontaminato isolamento. In tutti i luoghi di ritrovamento sono stati raccolti campioni del suolo e della neve: secondo Roscosmos le prime analisi non hanno rivelato segni di contaminazione. D’altra parte, i primi stadi del Sojuz sono tutti dotati dei motori RD-107 che utilizzano come propellenti cherosene ed ossigeno liquido, sicuramente meno tossici di quelli impiegati su vettori come i Proton che, per fortuna, non partiranno mai da Vostochny.
La steppa siberiana non sarà ripulita dai rottami del Souyz soltanto per motivi ecologici. Gli elicotteri hanno trasportato i rottami allo spazioporto, dove saranno ispezionati ed avviati al riciclo. Ciò non ha nulla a che fare con il riutilizzo (al momento in Russia non ci sono piani per vettori riutilizzabili), tuttavia i materiali di cui sono composti rendono questi “rifiuti” piuttosto pregiati, come – fino a qualche anno fa – sapevano bene alcuni abitanti delle steppe del Kazakhstan. Dopo la fine dell’Unione Sovietica, infatti, la fine delle sistematiche operazioni di raccolta attorno al cosmodromo di Bajkonur (che un tempo erano svolte con molta attenzione dalle autorità, anche per ragioni di segretezza) aveva lasciato spazio ad una fiorente attività locale di raccolta e rivendita di metalli provenienti dai rottami spaziali. Questo fenomeno non sembra destinato a ripetersi nella Russia orientale.
Fonte: Roscosmos
Questo articolo è © 2006-2024 dell'Associazione ISAA, ove non diversamente indicato. Vedi le condizioni di licenza. La nostra licenza non si applica agli eventuali contenuti di terze parti presenti in questo articolo, che rimangono soggetti alle condizioni del rispettivo detentore dei diritti.
Interessante… forse aggiungendo un paracadute agganciato in coda e qualche airbag si potrebbe far scaricare l’urto sulla parte anteriore e salvare il motore per un potenziale riutilizzo.
In effetti fa strano vedere queste foto rispetto al video di SpaceX!