A Spinoff a Day – Sensori in miniatura per l’analisi metabolica
Un effetto collaterale dell’assenza di peso nello spazio è il calo del tono cardiovascolare. Un modo per misurarlo è analizzare il metabolismo, o meglio la quantità di energia che una persona utilizza in un dato periodo, e questo si può fare calcolando la quantità di ossigeno consumato e di anidride carbonica prodotta durante la respirazione. L’abilità del corpo di usare l’ossigeno infatti dipende, oltre che dalla genetica, dal livello di benessere fisico. Un cuore forte può pompare sangue ossigenato più velocemente, e tessuti muscolari sani possono assorbirlo con più efficienza.
Per analizzare tutto questo in genere vengono usate macchine da laboratorio ingombranti e pesanti che consistono in un computer, un monitor e tubi respiratori assemblati su un carrello a ruote. Per poter utilizzare un sistema di questo tipo sulla Stazione Spaziale, nel 2002 il Glenn Research Center chiese all’Università di Case Western e alla Cleveland Clinic di sviluppare ciò nel 2006 diventò l’Unità Portatile per le Analisi Metaboliche (PUMA).
PUMA offre la maggior parte delle funzionalità di un apparato da laboratorio condensandole in un sistema indossabile come una maschera che, adeguatamente connessa a sensori di rilevamento dell’ossigeno e CO2, misura la pressione, il volume del flusso sanguigno, il battito caridaco e la temperatura del sangue. I diversi sensori sono infine collegati ad un computer esterno facilmente trasportabile che provvede ad effettuare i primi calcoli di base per poi inviarli via wireless ad un computer in laboratorio, il quale li completa e li registra.
Mentre erano al lavoro su un macchinario per elettrocardiogramma compatto sempre per conto di NASA, i tecnici della Orbital Research Inc. vennero a conoscenza di PUMA e chiesero la possibilità di metterlo in commercio, certi delle potenzialità sia nell’ambito sportivo che in quello ospedaliero. Non solo, Orbital Research ampliò la sua visione includendo anche applicazioni militari quando si seppe che il Naval Air Systems Command stava cercando proposte per la valutazione della salute dei piloti durante il volo.
I piloti militari si affidano alle maschere di ossigeno quando volano ad alta quota perché il rischio di ipossia è sempre presente (la condizione in cui il copro è privato di un’adeguata quantità di ossigeno, di cui avevamo parlato anche qui). Orbital, dunque, decise che era possibile misurare accuratamente l’ossigeno e l’anidride carbonica necessari al pilota per prevenire lo stato di ipossia, in genere molto difficile da prevedere perché si presenta in modo diverso da individuo a individuo. Lo Space Act Agreement tra Orbital Research e NASA fu firmato nel 2009. Ora la sfida di Orbital diventò quella di riuscire ad alleggerire i 450g di sensori da applicare alle maschere dei piloti e rimpicciolire maggiormente l’elettronica connessa. “Se stai sopportando 9G e indossi sul viso un pacchetto di sensori che pesa 200g, significa che il tuo collo in realtà sta subendo una forza di 2kg” afferma Fred Lisy, presidente di Orbital Research.
Grazie alla collaborazione con il Glenn, Orbital sviluppò PPAS, il Sistema di Valutazione Fisiologica per Piloti con sensori di peso inferiore a 30g e un dispositivo elettronico piccolo abbastanza da poter essere tenuto nella tasca della tuta.
Una tecnologia simile è in via di sviluppo anche per i sommozzatori che usano i respiratori, sistemi che evitano la formazione di bolle rimettendo in circolo l’aria. Un altro ambiente interessato è proprio quello ospedaliero. Dato che i sensori sono molto precisi, sono in grado di rilevare minimi sbalzi di ossigeno anche in un ambiente ricco di gas. Questo è particolarmente importante per pazienti collegati alle maschere d’ossigeno, e dove gli sbalzi di questa sostanza possono essere dannosi.
Per approfondire:
Spinoff nel dettaglio [ENG]
Sito di Orbital Research [ENG]
Contratto SBIR per il PPAS [ENG]
PUMA (Portable Unit for Metabolic Analysis) [ENG – pdf online]
Presentazione completa in pdf originale in inglese, traduzione italiana a cura di Veronica Remondini.
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