United Launch Alliance (ULA), la joint venture spaziale paritetica tra Boeing e Lockheed Martin, ha annunciato lunedì scorso che non parteciperà al bando di gara per il lancio di un nuovo satellite della costellazione di posizionamento globale americana GPSIII, programmato per il 2018. Di conseguenza la missione verrà affidata d’ufficio all’altro concorrente in gara, la SpaceX del miliardario Elon Musk (già fondatore di PayPal e Tesla).
L’azienda ha spiegato che la rinuncia è dovuta all’esiguo numero di motori disponibili per il razzo Atlas V, che utilizza i propulsori russi Energomash RD-180, messi al bando dal Congresso americano nel 2015 come ritorsione alla Russia dopo la crisi di Crimea.
La rottura del monopolio
La rinuncia di ULA rappresenta la fine del monopolio nel mercato dei lanci governativi statunitensi: è la prima volta che una missione militare americana viene assegnata ad un provider di lancio diverso dalla joint venture tra i due colossi dell’aerospazio. L’azienda, nata nel 2006 dopo una complessa vicenda legale che ha visto Boeing e Lockheed inizialmente rivali, è stata la vincitrice del bando del Pentagono per l’Evolved Expendable Launch Vehicle (EELV), che prevede il lancio di missioni militari ad un prezzo concordato (l’ultimo block è stato venduto a 11 miliardi di dollari per 36 missioni in cinque anni).
Si tratta, come evidente, di un mercato molto ricco, che ha attirato fin dall’inizio della sua avventura spaziale Elon Musk, desideroso di mettere le mani sulla torta offerta dai militari americani. Finora il Pentagono ha assegnato per il futuro solo singole missioni fuori da quelle già acquistate (sempre ad ULA, tra l’altro), ma il Falcon 9 di SpaceX è stato validato e certificato per i lanci governativi nel maggio scorso.
La certificazione del Falcon non è piaciuta molto ad ULA, che secondo alcuni osservatori ha cercato di mettere i bastoni tra le ruote all’azienda di Elon Musk grazie alla sua rete di lobbisti sparsa per Washington.
In ogni caso, solo nei giorni scorsi, ULA e l’US Air Force hanno siglato un contratto da 375 milioni di dollari per la fornitura di due razzi – un Atlas V in configurazione 421 e un Delta IV Heavy – da consegnarsi entro il 2019.
L’affaire dei motori russi
Nel caso della rinuncia al lancio del satellite GPSIII, SpaceX c’entra ben poco: a spingere ULA a mollare la presa sono stati semplicemente – per così dire – la Storia e il Congresso americano.
La joint venture tra Boeing e Lockheed Martin ha nell’Atlas V il suo vettore principale. Il razzo è l’ultima evoluzione della famiglia Atlas, nata negli anni Sessanta come missile balistico nucleare (ICBM). Fin dal suo ingresso in servizio nel 2002, l’Atlas V ha avuto un ruolino di marcia sostanzialmente impeccabile, avendo registrato un solo fallimento parziale (dipeso dall’upper stage Centaur) su 59 lanci totali.
Secondo le diverse configurazioni (che dipendono dalla larghezza del fairing da 4 o 5 metri, numero di booster, numero di motori dell’upper stage Centaur), l’Atlas V è accreditato di una capacità di carico utile variabile tra i 9800 e i 18000 chilogrammi in orbita LEO e una forbice compresa tra i 4750 e i 9000 chili in orbita GTO.
Tuttavia, nonostante le prestazioni, il razzo presenta un neo insormontabile: è equipaggiato con i motori russi a combustibile liquido Energomash RD-180. I propulsori russi sono stati scelti negli anni Novanta, quando è cominciato lo sviluppo del razzo.
In quegli anni Lockheed Martin (che poi ha portato l’Atlas V in dote ad ULA) ha sfruttato il disgelo tra Russia e Stati Uniti generato dalla fine della guerra fredda per acquistare ad un prezzo concorrenziale, garantito dall’aiuto pubblico, gli RD-180, la versione aggiornata degli RD-170, i motori che avrebbero dovuto equipaggiare il razzo russo Energia.
Nel 2015 però, con l’approvazione del National Defense Authorization Act, il Congresso americano ha bandito la tecnologia russa dalle sue missioni militari come ritorsione verso l’invasione ucraina. Il divieto include anche gli RD-180, il cui embargo scatterà ufficialmente nel 2019. Fino a quella data ULA può contare su un numero limitato di motori, che viene stabilito dal Congresso ad ogni nuovo anno fiscale. Per la finestra di lancio prevista per il GPSIII assegnato nei giorni scorsi, quindi, Boeing e Lockheed non possono fare nulla, poiché non hanno tutte le componenti certificate per assemblare il vettore.
Secondo quanto emerso nei mesi scorsi, in ogni caso, sembra che ULA abbia alcuni motori a disposizione, che però sfrutterà per le missioni commerciali (escluse dal bando del Congresso) già prenotate dai clienti.
Dopo l’embargo della Congresso, ULA ha accelerato lo sviluppo di un nuovo razzo vettore, il Vulcan, che utilizzerà propulsori costruiti negli Stati Uniti (prodotti o dalla Blue Origin di Jeff Bezos oppure dalla Aerojet Rocketdyne) e il cui primo volo è previsto proprio nel 2019.
Fino a quel momento però, il provider avrà i motori contati.