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A Spinoff a Day – La vapor chamber in titanio, dalle Gemini ad oggi

Il Programma Gemini fu un vero e proprio trampolino di lancio che permise all’umanità di mettere piede sulla Luna nel 1969, durante il Programma Apollo. Grazie ad esso, infatti, fu possibile testare molta della tecnologia utilizzata per viaggiare verso il nostro satellite naturale, e studiare diversi aspetti quali gli impatti sulla salute derivanti dall’esposizione alla microgravità, la gestione di rendezvous e docking e la possibilità di effettuare attività extraveicolari.

Un altro aspetto della ricerca coinvolgeva la sperimentazione di tecnologie alternative per il funzionamento delle navicelle, perché semplici batterie non sarebbero durate abbastanza per una missione lunare. Una delle tecnologie testate fu la cella a membrana a scambio protonico o PEM (da Proton Exchange membrane). Creato dalla General Electric, questo dispositivo fornisce elettricità per mezzo di un catalizzatore che ha la funzione di togliere gli elettroni agli atomi di idrogeno che viaggiano su circuiti elettrici, fornendo energia. A causa di problemi di affidabilità e dell’alto costo le celle PEM furono poi rimpiazzate da celle a combustibile alcaline, più ingombranti ma più sicure.

La riduzione degli spazi, tuttavia, è un argomento di fondamentale importanza nell’ambito astronautico, perciò Kenneth Burke, un ingegnere elettrico al Glenn Research Center, non si diede per vinto e cercò nuovi metodi di raffreddamento per questi dispositivi. I refrigeranti liquidi generalmente utilizzati complicavano ulteriormente il sistema: “Le celle a combustibile dovevano preoccuparsi di pompare un altro fluido e di gestire tutto l’apparato di tubature e l’elettronica. Era un sistema con troppe parti al lavoro, più di quelle necessarie”, afferma.

Per aggirare tutta questa complessità Burke pensò ad una specie di tecnologia passiva, ad anello chiuso, in cui un fluido potesse trasferire il calore ad un serbatoio tramite l’evaporazione, semplificando il processo di raffreddamento. Questo sistema necessitava però di tubature più piccole, più leggere e molto resistenti. È qui che entra in gioco, di nuovo, NASA.

Un contratto SBIR firmato dall’azienda Thermacore Inc. specializzata in tecnologie di gestione termica passiva ha dato il via alla ricerca di un materiale diverso dal rame (comune nei condotti termici per la sua alta conducibilità), più leggero ma altrettanto efficace allo scopo, trovandolo nel titanio. Nel 2008 l’azienda propone una vapor chamber in titanio, due volte più leggero del rame e considerevolmente più resistente. Le sue proprietà permettono alla camera di vapore di avere pareti spesse solo 1,3mm ed essere in grado di resistere a pressioni più che sufficienti da gestire quelle imposte da diverse celle a combustibile strette insieme. L’azienda sviluppò inoltre una tecnica di realizzazione tale da ridurre i costi del 90%, e in questo modo il sistema divenne abbordabile anche all’industria, per applicazioni commerciali.

La Thin Titanium-Vapor Chamber Therma-Base messa sul mercato nel 2013 fornisce una gestione termica passiva a dispositivi che producono calore, come processori, schede video o amplificatori a radio frequenza con un’usura quasi nulla se consideriamo che il titanio e l’acqua non reagiscono chimicamente, e che l’interno del dispositivo rimane ermeticamente sigillato.

L’ingegnere capo di Thermacore Inc. sottolinea l’importanza del ruolo di NASA nell’aver velocizzato la nascita di una tecnologia di questo tipo, tecnologia “un giorno utilizzabile per missioni con o senza equipaggio, verso la Luna, Marte o gli asterodi. Non c’è limite alle possibilità” secondo Burke.

Una vapor chamber in titanio rende utilizzabili celle a combustibile PEM per future missioni, e gestisce in modo ideale il raffreddamento di parti elettroniche che generano calore © NASA / Veronica Remondini

Per approfondire:

Spinoff nel dettaglio [ENG]

Programma Gemini [ENG]

La Vapor Chamber di Thermacore, Inc. [ENG]

Presentazione completa powerpoint originale in inglese, traduzione italiana a cura di Veronica Remondini.

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