Un supporto difettoso la causa della perdita del Falcon 9
Lo scorso lunedì 20 luglio, il fondatore e capo esecutivo della società californiana SpaceX, Elon Musk, ha rilasciato un aggiornamento sull’indagine in corso che mira ad identificare le cause che hanno portato il 28 giugno alla perdita del razzo Falcon 9 con la capsula Dragon CRS-7 ed il suo prezioso carico destinato alla Stazione Spaziale Internazionale.
Al momento lo scenario che viene ritenuto più probabile riguarda la rottura del sistema (supporto e bulloni) che teneva fissato uno dei contenitori dell’elio all’interno del serbatoio dell’ossigeno liquido utilizzato nel secondo stadio del razzo. Il problema si è verificato 2 minuti e 19 secondi dopo che il Falcon 9 ha lasciato la sua rampa di lancio, presso lo SLC 40 (Space Launch Complex) di Cape Canaveral, in Florida. A quel punto si è innescata una rapida sequenza di eventi che nel giro di otto secondi ha portato il secondo stadio a perdere completamente la sua integrità strutturale a tal punto che la capsula Dragon fissata in cima ad esso si è staccata proseguendo da sola la sua corsa. Senza più alcuna propulsione, la Dragon è ricaduta distruttivamente in mare continuando però fino all’ultimo a trasmettere dati telemetrici, segno che fino al momento dell’impatto con l’acqua era ancora pressoché intatta.
Anche il primo stadio del razzo, che in quel momento stava ancora spingendo il Falcon 9, non ha subito danni apparenti a causa del problema al secondo stadio ed ha mantenuto inalterata la sua traiettoria di volo fino a 2 minuti e 28 secondi dal lancio, quando con tutta probabilità il suo sistema di autodistruzione (FTS – Flight Termination System) è stato attivato essendosi staccati i collegamenti con lo stadio soprastante.
Subito dopo l’incidente è iniziata la ricerca delle cause, analizzando tutti i dati relativi al volo, la documentazione del processo di fabbricazione del razzo andato perduto, così come tutta la campagna di test sostenuta da questo specifico razzo. Una cosa apparsa subito evidente è stata la grande difficoltà di interpretare quanto successo tramite i dati ricevuti dagli oltre 3.000 canali di telemetria inviati dal razzo mentre era in volo. L’unica cosa certa infatti riguardava una pressione eccessiva all’interno del secondo stadio che di fatto ne aveva causato la rottura. Ma la grande difficoltà risiedeva nel capire cosa aveva a sua volta causato la sovra-pressione in quanto i dati telemetrici mostravano indicazioni contrastanti fra loro. A complicare le cose c’era il fatto che l’intero problema, dal primo segnale di anomalia fino alla perdita della telemetria, si è svolto in appena 9 decimi di secondo.
Analizzando ogni millesimo di secondo di informazioni contenute nei dati telemetrici, senza trascurare i video del volo ed i detriti che è stato possibile recuperare, SpaceX è infine giunta alla conclusione, sebbene per sua stessa ammissione ancora preliminare, che un supporto metallico che teneva fissato alla parete interna del serbatoio di ossigeno liquido uno dei contenitori dell’elio (chiamati COPV – Composite Overwrapped Pressure Vessel) ha subito una rottura mentre il razzo stava sostenendo un’accelerazione di 3,2 g. Con il supporto rotto, il COPV si è staccato dalla parete ed ha iniziato a rilasciare il suo contenuto di elio ad altissima pressione (380 bar) all’interno del serbatoio di ossigeno. Essendo il contenitore dell’elio immerso nell’ossigeno liquido è costantemente soggetto ad una spinta verso l’alto, oltretutto amplificata durante il volo dall’accelerazione impressa dal razzo. Venendo a mancare il necessario sostegno, il COPV è quindi schizzato verso la cima del serbatoio. La fuoriuscita di elio si è però interrotta (e quindi la pressione all’interno del sistema di pressurizzazione a elio, scesa per la perdita, ha ripreso a salire creando la confusione nell’interpretazione dei dati telemetrici) quando un condotto associato al COPV staccatosi ha subito un qualche tipo di strozzatura, ma a quel punto la quantità di gas rilasciata era già sufficiente per creare una pressione eccessiva all’interno del serbatoio di ossigeno.
L’elio contenuto nei COPV viene utilizzato per mantenere la pressurizzazione all’interno dei serbatoi del propellente quando questi cominciano a svuotarsi alimentando i motori. Il motore del secondo stadio però non si era ancora acceso quando è avvenuto l’incidente in quanto il razzo si trovava nella fase di volo propulsa dal primo stadio e quindi era ancora pieno di ossigeno liquido, che occupava il 98% del volume totale. Il rimanente 2% era troppo poco per contenere tutto l’elio fuoriuscito e quindi si è venuta a creare la sovra-pressione che infine ha fatto cedere le pareti del serbatoio.
Come si diceva, questo è un risultato considerato preliminare e quindi l’inchiesta sull’incidente proseguirà, soprattutto per capire se la rottura del supporto sia stata in qualche modo influenzata da fattori ancora non individuati in quanto lo stesso tipo di sostegno ha precedentemente volato in centinaia di esemplari (questi supporti sono infatti utilizzati in gran numero sia nel primo che nel secondo stadio del Falcon 9) senza causare grattacapi. I sostegni, che misurano 60 cm di lunghezza e 2,5 cm di spessore massimo, sono certificati per tollerare sollecitazioni cinque volte maggiori di quelle presenti al momento dell’incidente e la documentazione fotografica relativa all’esemplare che ha ceduto non ha evidenziato alcuna irregolarità o danneggiamento. I supporti incriminati, a differenza di molti altri componenti, non vengono prodotti direttamente da SpaceX ma vengono acquistati da un fornitore esterno.
Dopo l’incidente ne sono stati testati numerosi rilevando che la maggior parte di essi ha ceduto attorno ai 2.700 kg di sforzo e non a circa 4.500 kg come da certificazione del fornitore, finché uno ha ceduto attorno ai 900 kg, cioè la stessa forza che stava agendo su quello che si è rotto durante il lancio. Le analisi metallografiche sul supporto che ha ceduto a 900 kg hanno rilevato un problema con la struttura granulare dell’acciaio di cui era costituito, dando ulteriore credito allo scenario fin qui ipotizzato.
D’ora in avanti SpaceX acquisterà, probabilmente da un altro fornitore, un diverso tipo di supporti per i quali si sta anche valutando di cambiare il tipo di acciaio. I nuovi supporti verranno testati singolarmente prima di essere installati sul razzo in modo da accertarsi che possano sopportare le sollecitazioni dovute al lancio. Questi controlli aggiuntivi aumenteranno i costi di produzione del Falcon 9, ma Elon Musk ha dichiarato che il prezzo di lancio del razzo, pari a circa 61 milioni di dollari, non verrà maggiorato.
Se al termine dell’indagine, che viene effettuata in collaborazione con NASA, USAF (United States Air Force) e FAA (Federal Aviation Administration), lo scenario ipotizzato verrà confermato come unica causa della perdita del Falcon 9, sarà sufficiente sostituire tutti i supporti attualmente montati nei razzi già prodotti con le nuove unità riprogettate. Un lavoro che SpaceX ha stimato verrà completato nel giro di pochi mesi. Per quanto riguarda il ritorno al volo, questo potrà avvenire nella migliore delle ipotesi negli ultimi due o tre mesi dell’anno. Il lancio successivo a quello fallito avrebbe dovuto portare in orbita il satellite franco-americano per studi oceanografici Jason 3, seguito dal satellite per comunicazioni SES 9. La successiva Dragon, per la missione CRS-8, era invece prevista per inizio settembre. Questa sequenza potrebbe ora essere modificata, a seconda di quando volerà il prossimo Falcon 9 e di cosa decideranno in merito i clienti di SpaceX.
Il fatto che la capsula Dragon sia sopravvissuta alla disgregazione del secondo stadio avrebbe reso possibile il suo salvataggio se avesse avuto a bordo un software adatto a gestire la situazione di emergenza consentendo in ultima istanza di aprire i paracadute per effettuare un ammaraggio morbido. In questo scenario tutto il carico interno sarebbe stato recuperato intatto perdendo solamente quello esterno, posizionato nella sezione non pressurizzata. Dragon CRS-7 portava un carico il cui valore è stato stimato in 110 milioni di dollari e che NASA ha dichiarato essere privo di assicurazione, per cui averlo potuto salvare anche in parte avrebbe reso meno amaro il fallimento del razzo.
SpaceX ha già realizzato un software che gestisce questo tipo di emergenze per la capsula Dragon 2, attualmente in fase avanzata di sviluppo, adibita al trasporto di astronauti ed aveva in progetto di applicarlo anche alla attuale Dragon, ma il destino ha voluto che questo sistema non venisse implementato in tempo. Comunque già a partire dal prossimo volo della Dragon da carico il sistema di salvataggio verrà installato, naturalmente con la speranza di non doverne mai avere bisogno.
L’incidente del 28 giugno costerà a SpaceX svariate centinaia di milioni di dollari di mancati ricavi, ma questo fallimento servirà alla società per aumentare la sua esperienza e per realizzare un veicolo migliore. Questo 2015 era iniziato in maniera eccellente per SpaceX con ben 5 lanci nei primi quattro mesi dell’anno e con il nuovo record di due lanci nel giro di 13 giorni per il Falcon 9. Per confronto, in tutto lo scorso anno i lanci sono stati sei, dei quali due nei primi quattro mesi. Ora la priorità per SpaceX è quella di tornare a far volare il suo Falcon 9, la cui striscia di 18 successi su 18 lanci è stata bruscamente interrotta il 28 giugno scorso. La necessità di lavorare alacremente per questo obiettivo farà slittare il debutto del Falcon Heavy, il cui primo lancio è ora previsto per la prossima primavera.
Fonte: Spaceflight 101
In copertina: il lancio di Falcon 9 con Dragon CRS-7.
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Grazie Paolo dell’articolo, molto chiaro e interessante!
Ottimo articolo, grazie.