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Spinoff a Day – Il bracciale che misura la nostra esposizione al sole

Per capire meglio l’impatto del Sole sul nostro pianeta, agli inizi degli anni 2000 NASA sviluppò il Solar Dynamics Observatory, un satellite che fornisce in tempo reale immagini e dati sull’atmosfera solare, sul suo campo magnetico e sulle radiazioni emesse. A bordo ospita anche lo strumento EVE (Extreme Ultraviolet Variability Experiment) il quale misura in particolare le radiazioni ultraviolette, importanti sia per il riscaldamento atmosferico che per la salute.

Uno degli obiettivi del team di sviluppatori era però quello di cercare metodi alternativi per misurare l’emissione di raggi UV: generalmente, infatti, venivano utilizzati semiconduttori in silicio, ma la loro tendenza ad assorbire sia le radiazioni che la luce visibile li rendeva non del tutto efficaci, nonostante fossero applicati filtri per isolare il segnale ultravioletto. Per ovviare al problema il team tentò la strada dei semiconduttori wide bandgap: composti chimici in grado di lavorare a tensioni, frequenze e temperature molto più alti dei comuni semiconduttori, e dunque in grado di rilevare con più efficacia determinate lunghezze d’onda.

Dopo aver sperimentato vari composti, Shahid Aslam, lo scienziato del Goddard Space Flight Center incaricato di sviluppare EVE, notò che alcuni di essi rilevavano bande nello spettro UV particolarmente importanti per l’organismo umano: tra i 280 e i 400 nanometri, ossia le UVA e le UVB, che oltrepassano l’atmosfera ed entrano in contatto con la superficie terrestre. “Il fatto che esse siano benevole o nocive dipende dal tempo di esposizione del nostro organismo; il corpo umano necessita di luce UV per produrre vitamina D, importante per le ossa e per il sistema immunitario, ma troppa luce solare può causare scottature, invecchiamento e cancro della pelle” spiega Aslam.

Ma che cosa significa “troppa” luce solare? Qual è la durata ideale di esposizione al sole per la nostra pelle? Per capirlo è stato sviluppato l’erythemal UV index, che identifica la durata alla quale i raggi UV ad una certa potenza possono causare eritemi o arrossamenti. Da un grafico in tempo reale all’idea di applicare tale conoscenza alla vita di tutti i giorni il passo è stato breve.

Ecco dunque che, grazie all’amico guru del marketing Karin Edgett, nel 2011 Aslam dà vita ad UVA+B SunFriend: un bracciale al cui interno è custodito un semiconduttore wide bandgap. Quando colpito dalla luce solare, il materiale produce fotocorrenti indicative della quantità di radiazione accumulata. Un microchip elabora tale dato tenendo in considerazione vari parametri tra cui il tipo di pelle (precedentemente impostato dall’utente), e segnala tramite LED il momento in cui la dose giornaliera è raggiunta. A quel punto è consigliabile applicare la crema solare, vestirsi oppure concludere la giornata rientrando a casa.

Non solo! Ad alte latitudini le persone soffrono del problema contrario, rischiando di non ricevere sufficiente radiazione UV. Questo può portare ad una deficienza di vitamina D seguita da potenziale depressione. Il pensiero di Edgett fa riflettere: “In un periodo storico in cui da un lato negli Stati Uniti una persone su 5 soffre di cancro alla pelle e dall’altro nei Paesi scandinavi la mancanza di vitamina D è considerata pandemica, questo prodotto può aiutare le persone a capire quando è tempo di assumerne di più o, al contrario, di limitarla”.

SunFriend è disponibile per l’acquisto anche su Amazon.

UVA+B SunFriend: il bracciale che misura la nostra esposizione al sole ©NASA / Veronica Remondini

Per approfondire:

UVA+B SunFriend su Amazon [ENG]

Daily erythemal UV index [ENG]

Lo strumento EVE (Extreme Ultraviolet Variability Experiment)

Il Solar Dynamics Observatory [ENG]
Presentazione completa powerpoint originale in inglese, traduzione italiana a cura di Veronica Remondini.

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