Lanciata la missione MMS della NASA
Dopo 10 anni di sviluppo ha preso il via da Cape Canaveral, in Florida, la missione MMS (Magnetospheric Multiscale Mission) che tramite quattro satelliti identici che orbiteranno in stretta formazione attorno al nostro pianeta avrà il compito di svelare nei dettagli l’interazione fra il vento solare e la nostra magnetosfera.
Il lancio è avvenuto ieri, venerdì 13 marzo 2015, alle 2:44:00 GMT (le 22:44 ora locale del 12 marzo e le 3:44 in Italia) dal complesso di lancio 41 della CCAFS (Cape Canaveral Air Force Station). Il razzo utilizzato è stato l’Atlas 5 di ULA (United Launch Alliance) nella versione 421. Questo razzo, il cui peso al lancio è di 428 tonnellate, è dotato di un primo stadio chiamato CCB (Common Core Booster) che imbarca 284 tonnellate di propellenti (185.000 litri di ossigeno liquido e 94.600 litri di kerosene) ed è spinto da un motore (a doppia camera di combustione) RD-180 capace di 390 tonnellate di spinta al lancio e 422 tonnellate nel vuoto. A questo si aggiungono due booster a propellente solido chiamati AJ60 con 41 tonnellate di propellenti ciascuno che assieme sommano altre 345 tonnellate di spinta, portando la spinta totale al lancio al valore di 735 tonnellate.
Il lancio, la cui finestra era di 30 minuti, si è svolto senza intoppi e 49 secondi dopo aver lasciato la rampa il razzo ha superato il muro del suono (Mach 1) spinto dal CCB e dagli AJ60 i quali hanno terminato il loro lavoro 1 minuto e 34 secondi dopo il decollo. Per la loro separazione si sono però dovuti attendere altri 44 secondi in modo che il veicolo si allontanasse a sufficienza dalle zone in cui è presente del traffico marittimo. Il primo stadio ha continuato la sua spinta fino a 4 minuti e 10 secondi dal lancio, venendo scaricato 6 secondi dopo. Altri 10 secondi e si è acceso lo stadio superiore Centaur che con le sue 20,8 tonnellate di propellente (48.100 litri di idrogeno liquido e 15.700 litri di ossigeno liquido) alimenta il motore RL-10A da 10,1 tonnellate di spinta. Questa prima accensione è durata 9 minuti e 4 secondi portando il veicolo su un’orbita preliminare di 167 x 591 km e inclinazione di 28,7 gradi. Nel frattempo (10 secondi dopo l’accensione dello stadio superiore) erano stati sganciati anche i due semigusci che proteggono il carico dalle forze aerodinamiche e termiche che si generano attraversando gli strati inferiori dell’atmosfera.
Lo stadio superiore ed il suo carico hanno viaggiato di conserva per 59 minuti al termine dei quali Centaur si è riacceso per altri 5 minuti e 42 secondi acquisendo l’orbita definitiva di 585 x 70.098 km e inclinazione di 27,8 gradi. Dopo 14 minuti dallo spegnimento è iniziata la sequenza di rilascio dei quattro satelliti che sono stati sganciati ad intervalli di 5 minuti uno dall’altro, con il Centaur che ruotava sul suo asse a 3 giri al minuto. La quarta e ultima navicella è stata rilasciata 1 ora e 47 minuti dopo il lancio, completando con successo questa prima fase della missione.
I quattro satelliti, realizzati dal Goddard Space Flight Center della NASA, nel Maryland, dovranno ora portarsi su un’orbita di 2.550 x 70.080 km ed eseguire una lunga serie di check-up e calibrazioni per essere infine pronti ad iniziare la missione scientifica il cui avvio è previsto per il prossimo settembre. Fra le varie attivazioni, quelle più “vistose” riguarderanno il dispiegamento di ben 8 aste che fuoriusciranno da ognuno dei satelliti. Si tratta di due aste radiali rigide lunghe 5 metri che all’estremità ospiteranno dei magnetometri, altre due aste rigide lunghe 15 metri che verranno estese in senso assiale e che saranno equipaggiate con dei sensori di campo elettrico e 4 filamenti radiali lunghi 60 metri anch’essi dotati di sensori per il rilevamento dei campi elettrici. La strumentazione delle navicelle, che include anche analizzatori di plasma e rivelatori di particelle energetiche per un totale di 25 sensori ospitati in 11 strumenti, è stata sviluppata dal Southwest Research Institute di San Antonio in Texas con contributi da parte di University of New Hampshire, Applied Physics Laboratory at Johns Hopkins University, Laboratory of Atmospheric and Space Physics at the University of Colorado, e altri partner in Europa e Giappone.
La missione MMS, gestita dalla divisione della NASA che si occupa di fisica solare, è costata 1,1 miliardi di dollari ed avrà il compito principale di studiare il fenomeno, ancora poco conosciuto, della riconnessione magnetica. Si tratta di un processo comune in tutto l’universo e che si verifica nelle regioni dove due campi magnetici con orientamenti diversi vengono a contatto. Per quanto riguarda il nostro pianeta, le riconnessioni magnetiche avvengono nelle zone dove il vento solare interagisce con la magnetosfera terrestre trasferendo a questa la sua energia. Questo fenomeno, caratterizzato dalla conversione esplosiva dell’energia magnetica in energia cinetica, termica e nell’accelerazione di particelle nonché dalla successiva riconfigurazione delle linee del campo magnetico, influenza pesantemente il cosiddetto meteo spaziale che a sua volta può generare una lunga serie di effetti indesiderati per gli astronauti nello spazio e per le apparecchiature elettroniche sia in orbita che al suolo.
La riconnessione avviene in tempi rapidissimi tanto che fino ad ora il problema maggiore nello studio di questo fenomeno è stato proprio l’incapacità di osservarne l’evoluzione nel dettaglio. I satelliti MMS supereranno questo ostacolo essendo in grado di raccogliere dati con cadenze nell’ordine dei millesimi di secondo, cioè due ordini di grandezza più rapidamente di quanto avvenuto fino ad oggi. Inoltre studieranno il fenomeno dall’interno e forniranno una mappa tridimensionale degli eventi grazie alla loro disposizione a tetraedro. Ogni satellite è costituito da una piattaforma ottagonale con diametro di 3,5 metri e altezza di 1,23 metri per un peso al lancio di 1.360 kg. Per le manovre, ogni satellite è equipaggiato con 360 kg di idrazina che alimenta 12 piccoli motori di manovra.
La prima parte della missione sarà dedicata allo studio della riconnessione che avviene nel lato illuminato della Terra e la seconda parte in quella che si verifica nel lato in ombra. Nella prima fase la distanza reciproca fra i satelliti varierà fra i 10 e i 160 km e la raccolta dati avverrà principalmente quando si troveranno a oltre 57.000 km di quota ed entro 30 gradi dalla retta Terra-Sole. Nella seconda parte della missione l’orbita verrà portata a 2.550 x 152.900 km e le distanze reciproche varieranno da 30 a 400 km con la maggior parte delle osservazioni scientifiche raccolte ad oltre 95.000 km di altezza ed entro 40 gradi dalla retta Terra-Sole dalla parte non illuminata del nostro pianeta. Se sarà possibile estendere la missione, i satelliti verranno posizionati su un’orbita di 76.450 x 197.500 km e inclinazione di 10 gradi per ulteriori studi.
Lo scopo della missione è quello di riuscire a capire come e perché avviene la riconnessione magnetica portando a comprendere meglio i fenomeni ad essa associati, come la generazione delle CME (Coronal Mass Ejections) solari, gli accrescimenti stellari e dei dischi protoplanetari, le accelerazioni del vento stellare nelle pulsar e dei raggi cosmici nei getti dei nuclei galattici. Da questa missione scaturiranno anche informazioni molto importanti per la ricerca sulla fusione nucleare controllata, dove la riconnessione magnetica ha dimostrato di essere un serio ostacolo a questa potenziale fonte di energia.
Quello di ieri è stato il lancio numero 53 per l’Atlas 5 (tutti coronati da successo) ed il ventesimo lancio consecutivo effettuato al primo tentativo, senza cioè alcun problema che costringesse ad annullare il conto alla rovescia e a ripianificare il lancio ad altra data. Si è trattato inoltre del dodicesimo lancio effettuato per conto della NASA.
Il prossimo lancio gestito da ULA è previsto per il 25 marzo con un Delta IV che metterà in orbita un satellite della costellazione GPS. Il prossimo Atlas 5 verrà invece lanciato il 6 maggio riportando in orbita la navetta militare X-37B.
Fonte: Spaceflight101
In copertina: rappresentazione pittorica dei quattro satelliti MMS in orbita. Credit: NASA
Il video del lancio.
La separazione del quarto e ultimo satellite.
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