Intervista esclusiva all’astronauta Thomas Jones
Siamo giunti al terzo appuntamento di questo mini ciclo di interviste dedicate agli astronauti che hanno volato nel programma STS, maggiormente noto come Space Shuttle.
Thomas David Jones è nato il 22 gennaio 1955 a Baltimore, nel Maryland. Diplomatosi nel 1973 presso la Kenwood Senior High School di Essex, nel nativo Maryland, si è laureato con distinzione in scienze di base quattro anni dopo all’Accademia dell’Aviazione Militare (USAF) di Colorado Springs, in Colorado. Thomas Jones ha prestato servizio nell’USAF dal 1978 al 1983 congedandosi con il grado di capitano. Durante la sua esperienza nelle forze armate è stato pilota e successivamente comandante di B-52D Stratofortress presso la Carswell Air Force Base, in Texas.
Nel 1988 ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze planetarie alla University of Arizona di Tucson e nei successivi due anni ha lavorato presso l’ufficio Sviluppo e Ingegneria della CIA (Central Intelligence Agency) a Washington.
Selezionato dalla NASA nel gennaio 1990 ha effettuato la sua prima missione spaziale nell’aprile 1994 sulla navetta Endeavour nel volo denominato STS-59 o SRL-1 (Shuttle Radar Laboratory 1). Il secondo volo è arrivato nel settembre dello stesso anno e sempre sulla Endeavour per la STS-68 (SRL-2). Ha effettuato un terzo volo nel 1996 a bordo della navetta Columbia per la missione STS-80 ed un quarto nel 2001 per la missione STS-98 della navetta Atlantis, dove ha lavorato all’installazione del modulo laboratorio americano Destiny sulla ISS (International Space Station) effettuando tre EVA (Extra Vehicular Activity).
Nello stesso 2001 ha lasciato la NASA per intraprendere una carriera come scienziato planetario e consulente in operazioni spaziali. Nel 2006 è stato pubblicato il suo libro Sky Walking: An Astronaut’s Memoir nel quale Thomas raccoglie le esperienze vissute negli 11 anni passati alla NASA.
STS-59
Questa fu la tua prima missione. Qual è l’aspetto che ti ha maggiormente entusiasmato?
Questa missione prometteva una vista superba del nostro pianeta. Sia per l’orbita molto bassa (222 km), sia per l’elevata inclinazione (57 gradi) che ci avrebbe fatto sorvolare il globo dalle Isole Aleutine alla Terra del Fuoco. Per uno scienziato planetario questa vista prometteva di essere sensazionale. E così fu.
In questa missione sei stato l’unico debuttante, e quindi non hai potuto condividere con nessuno questa mancanza di esperienza. La stessa cosa è successa due mesi prima al tuo compagno di corso Ronald Sega. Hai avuto modo di parlare con Ronald prima del tuo volo per capire cosa ti aspettava?
Queste informazioni me le ha date Richard Clifford, anch’esso mio compagno di corso e assegnato come me alla STS-59. Non ho quindi parlato con Ronald in quanto le informazioni che mi servivano le ho avute da Rich, mio grande amico e “maestro di volo”.
L’astronauta con la maggiore esperienza in questa missione fu Jerome Apt. Hai mai pensato all’epoca che nella tua carriera avresti superato Jerome, perlomeno in fatto di tempo passato nello spazio e in EVA?
Jay era al suo terzo volo ed era quindi molto esperto nell’operare con i vari sistemi di bordo ed anche nel riprendere fotografie dall’orbita e quindi ho imparato molto da lui in entrambi questi aspetti. In particolare lui era bravissimo nelle fotografie e quindi ho tratto molto vantaggio dai suoi insegnamenti in merito. Riguardo a poterlo superare come tempo di volo, non erano cose a cui pensavo. Tutto ciò che desideravo era essere allo stesso livello dei miei colleghi.
Parlami di William Gregory. È stato l’ultimo del tuo gruppo a volare e dopo quella missione non ne ha effettuate altre.
Bill Gregory è stato l’ultimo del mio gruppo a volare ma non è stato l’ultimo ad essere assegnato ad una missione. Nel nostro gruppo eravamo in 23 e inevitabilmente uno di noi avrebbe volato per primo ed uno per ultimo. Neil Armstrong fu l’ultimo del suo gruppo a volare. Io sono stato fra i primi quattro o cinque del mio gruppo ad essere assegnato ad una missione. Malgrado ciò ho dovuto aspettare altri due anni e mezzo per volare e questo ha fatto sì che probabilmente più di metà degli astronauti del mio gruppo hanno volato prima di me. Bill è un pilota collaudatore dell’aviazione ed era qualificato a volare nello spazio come qualsiasi altro di noi.
In questa missione ci fu qualcosa che andò meglio di quanto pianificato?
Sì. Il nostro equipaggio, con l’aiuto del Controllo Missione, riuscì a risparmiare sufficiente energia elettrica da consentirci di rimanere un giorno in più in orbita, incrementando di circa il 10% il ritorno scientifico. In totale, raccogliemmo 47 terabits di mappature radar equivalenti a 20.000 libri con illustrazioni.
STS-68
Per quale motivo sei stato l’unico della missione SRL-1 a volare sulla SRL-2, tra l’altro in qualità di payload commander (responsabile del carico presente a bordo) il ché suppongo sia avvenuto grazie al tuo ottimo lavoro nella missione precedente?
Sidney Gutierrez si stava ritirando dalla NASA. Per Kevin Chilton STS-59 fu la seconda missione in meno di due anni e quindi era in pausa. Non era assegnabile ad un’altra missione. Anche Jay Apt aveva effettuato tre missioni in circa due anni e mezzo ed era in pausa. Per Rich Clifford STS-59 era stata addirittura la seconda missione in meno di un anno e mezzo. Aveva quindi effettuato due voli molto ravvicinati. Io ero quindi l’unico che poteva essere assegnato al volo SRL successivo senza comportare malumori, ed in questo fui perciò molto fortunato. Ciò che mi intimidiva era il fatto che fui nominato payload commander di STS-68 prima ancora di volare con STS-59, ma ero felice per l’opportunità.
Il primo tentativo di lancio fu abortito appena un secondo prima dell’accensione degli SRB, i due booster a propellente solido che sollevano la navetta dalla rampa di lancio. Immagino che questo scenario sia stato simulato svariate volte nei vostri training. Qual è stata la differenza fra le simulazioni e l’evento reale?
Il simulatore non poteva riprodurre le vibrazioni che si verificano all’accensione dei motori principali, l’enorme rombo, lo scuotimento selvaggio della cabina e l’adrenalina che in quel momento scorreva nel mio corpo. Ormai gasati per il lancio imminente, l’ultima cosa che ci aspettavamo era sentire il suono dell’allarme principale mentre il rumore dei motori si smorzava. C’è voluto un secondo pieno per realizzare che avevamo avuto un “pad abort”.
In questa missione ci fu il primo volo di Steven Smith, che poi diventerà uno dei migliori astronauti della NASA. Il fatto che alcuni astronauti effettuano una o due missioni, mentre altri arrivano anche a quattro o cinque è casuale oppure c’è una qualche scala di valori?
Steve Smith è effettivamente diventato uno dei migliori astronauti della NASA. Perchè alcuni astronauti volano più di altri? Beh, a volte è questione di tempistiche. Per esempio si può essere assegnati ad una missione che richiede moltissimo addestramento, tanto che mentre tu voli una sola volta altri fanno due missioni. Nel caso di Steve, è stato assegnato ad una missione di riparazione del telescopio Hubble, il ché ha richiesto un sacco di training avanzato che lo ha tolto dalla rotazione per un po’. Dopo i suoi voli, mi sembra tre, è stato felice di un incarico in Europa per conto della NASA, una scelta personale riguardo a ciò che voleva per la sua famiglia. Ma è assolutamente casuale. Se rimani nella rotazione le missioni arrivano. Negli anni ’90 potevi volare quattro o cinque volte. Oggi probabilmente solo un paio visto il minore rateo di lanci.
Guardando a questa missione dopo tanti anni, qual è stato l’esperimento o l’aspetto più importante?
Con questo secondo volo abbiamo completato la serie Space Radar Laboratory, dove abbiamo testato in orbita una tecnica di mappatura terrestre chiamata interferometria radar, che ci ha permesso di mappare la topografia terrestre con una risoluzione di 30 metri. Questa tecnica è stata poi raffinata nella missione STS-99, chiamata Shuttle Radar Topography Mission, che nel 2000 ha mappato l’ottanta per cento della superficie terrestre. Questa mappa digitale viene oggi largamente utilizzata in tutto il mondo in ambiti scientifici, nelle cabine di pilotaggio degli aerei e anche per la navigazione in ambito militare.
Molti astronauti che volarono nel programma Apollo hanno successivamente divorziato dalle rispettive mogli. Nel programma STS le cose sono migliorate?
Devo dire che nel corpo astronauti ci sono tutt’ora più divorzi rispetto alla popolazione generale. Non ho cifre al riguardo ma a noi sembra che siano maggiori le rotture matrimoniali. Il risultato di frequentissimi viaggi, un sacco di stress e forse anche di qualche astronauta che pensa di avere una reputazione maggiore di quella che ha realmente. Alcuni sono dei disillusi, oppure hanno una falsa impressione della loro reale importanza.
STS 80
In questa missione hai avuto il privilegio di assistere all’ultimo volo spaziale di Story Musgrave, un’autentica leggenda del programma STS. Il fatto che Story sia rimasto per tutta la durata del rientro a Terra sul ponte di volo anziché nel suo seggiolino nel ponte inferiore ha avuto delle ripercussioni disciplinari?
No, non ci furono ripercussioni per il fatto che stette in piedi sul ponte di volo. Lui sapeva che sarebbe stata la sua ultima missione e non venne criticato per quello che fece in quanto si riteneva che nessuno più di lui sapeva se quell’azione potesse essere fatta oppure no. E comunque piuttosto che renderla pubblica hanno deciso di lasciar perdere la cosa.
Hai poi scoperto cosa erano quelle misteriose luci che hai filmato durante la missione?
Le tre luci che vidi sul video erano delle piccole particelle di ghiaccio che galleggiavano attorno al veicolo e che sono rimaste attaccate alla navetta per giorni. Poi si sono staccate dalla stiva e dopo essersi allontanate di circa 6 metri hanno incrociato un razzo di manovra in funzione che le ha illuminate e le ha spinte più lontano. Sembravano delle stelline che sfrecciavano via. Ecco cosa furono.
Questa fu la missione più lunga di tutto il programma STS ed immagino che ti sia piaciuto molto passare ben 17 giorni in orbita. Hai mai sperato di essere assegnato ad un equipaggio di lunga durata sulla ISS?
Tutti gli astronauti erano incoraggiati a rendersi disponibili per le missioni di lunga durata sulla ISS, ma io non lo feci in quanto non volevo separarmi dalla mia famiglia per così tanto tempo, senza contare che nei tre anni di addestramento necessari avrei dovuto vivere a Mosca per almeno metà del tempo. Così mi resi disponibile a costruire la ISS piuttosto che a viverci dentro.
In questa missione erano pianificate due EVA che avrebbero visto protagonisti te e Tamara Jernigan, ma vennero entrambe cancellate. Quale fu la ragione nel dettaglio?
Una vite allentatasi fluttò fino ad incastrarsi nel meccanismo che apre e chiude il portello esterno, impedendoci di girare la manovella per aprirlo. Non potevamo quindi uscire, perlomeno non senza forzare il portello e rischiare di comprometterne la tenuta stagna al termine della passeggiata spaziale. Il Controllo Missione decise che era troppo rischioso e quindi cancellò le EVA, che furono effettuate circa un anno dopo nella missione STS-87. Questa è stata la maggiore delusione professionale della mia vita, ma per il resto la missione fu una gioia.
Cosa sarebbe successo se al termine della missione la stiva non si fosse chiusa, il ché avrebbe richiesto una chiusura manuale tramite una EVA?
In questo caso avremmo dovuto forzare l’apertura del portello, con una qualche procedura che ci avrebbe fornito il Controllo Missione. In sostanza avremmo dovuto praticare un foro nel portello utilizzando un martello ed uno scalpello, ed una volta realizzato ci avremmo infilato un seghetto per segare il manovellismo di apertura e chiusura in modo da poter finalmente aprire il portello. Dopodiché avremmo dovuto coprire il foro con una toppa in modo che quando saremmo rientrati assicurasse la tenuta stagna una volta richiuso. La nostra vita sarebbe dipesa da quella toppa. Sono felice che non abbiamo dovuto farlo!
STS 98
Nel tuo libro Sky Walking: An Astronaut’s Memoir scrivi che non conosci la ragione della rimozione di Mark Lee dall’equipaggio. Ora ci sono novità in merito?
Non ho saputo null’altro riguardo a questa storia. Credo comunque che sia stato punito per qualcosa che è successo nella sua vita privata.
Guardando alla tua carriera, hai praticamente eguagliato Story Musgrave come tempo passato nello spazio (ci sono circa 9 ore di differenza) ed hai superato di 18 minuti il tempo passato in EVA da Franklin Chang-Diaz, un altro gigante del programma STS. Fra tutti gli astronauti che hanno volato quattro volte sullo Space Shuttle solo Richard Linnehan ha passato più tempo di te nello spazio. Direi che il bilancio è positivo.
Story ha effettuato più voli di me, Chang Diaz and Jerry Ross hanno addirittura volato in sette missioni, per cui io non ho fatto nulla più di loro. Sono solamente stato fortunato ad essere assegnato a missioni già di per sé lunghe e che sono state ulteriormente estese a causa del cattivo tempo previsto per il rientro. Astronauti più anziani, come lo stesso Story, hanno volato agli inizi del programma STS quando le missioni erano molto più corte. Rispetto a loro sono stato quindi avvantaggiato.
Questa è stata la tua ultima missione spaziale. Mentre eri in orbita sapevi già che sarebbe stata l’ultima oppure speravi di volare ancora?
Il mio futuro nello spazio dipendeva tutto da come fosse andata questa missione. Se avesse avuto successo avrei avuto la scelta se volare ancora oppure prendere altre strade. La missione fu un successo, ed assieme alla mia famiglia decisi di intraprendere una nuova carriera come scienziato e consulente. Non vedevo infatti all’orizzonte nessuna missione che mi avrebbe appagato più di questa.
Qual è il ricordo più bello di questa tua ultima missione?
Senza alcun dubbio l’esperienza che ho vissuto durante la terza EVA. Ci furono cinque minuti in cui avevo tutta la Stazione Spaziale alle mie spalle ed ho potuto godere la visione come un essere umano anziché come un tecnico assemblatore. Fu una vista sbalorditiva. Per pochi momenti ho potuto cogliere l’incredibile scena del pianeta sotto di me e del cosmo al di sopra. Lo spazio visto nella sua vastità è qualcosa che noi umani possiamo osservare raramente. Ero grato che il Signore mi stava dando l’opportunità di intravvedere lo splendore del Creato.
Secondo te qual è stato il maggior punto debole del sistema STS, che è stato terminato prima del previsto?
Io invece penso che abbia volato più a lungo di quanto si potesse immaginare. Certamente ci sono dei punti deboli, insiti nell’architettura stessa che si è scelto di adottare e che è figlia dei fondi limitati degli anni ’70. I booster a propellente solido sono stati un compromesso, così come il grande serbatoio esterno ed entrambi hanno avuto un ruolo nei due incidenti fatali. Ma il programma STS è stato una scuola formidabile che ci ha insegnato come lavorare nello spazio, come effettuare delle riparazioni complesse sul telescopio Hubble e come costruire praticamente con le nostre mani la Stazione Spaziale, tutte cose possibili solo grazie alle capacità dello Space Shuttle. Ora tutto ciò sta per finire, e ritengo debba finire in quanto troppo costoso e datato. Non sapendo quali problemi tecnici sorgeranno con il suo invecchiamento ritengo una buona decisione quella di abbandonarlo, e anche se ci mancheranno le sue molteplici abilità questo sistema non ha una via di fuga per l’equipaggio. Non ha la capacità di sopravvivere a qualsiasi problema si manifesti durante il lancio o l’atterraggio. Se qualcosa va storto e si danneggia lo scudo termico non hai un’alternativa al rientro in atmosfera. Se qualcosa va storto durante il lancio, se esplode uno dei motori principali o se c’è una grossa perdita nel serbatoio esterno non hai vie di scampo. Per questi motivi è troppo rischioso continuare a volare con questo sistema. Spero quindi che sia ritirato nei tempi previsti in modo da destinare i finanziamenti verso il veicolo successivo.
Intervista rilasciata all’autore nel novembre 2009.
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