Lanciata con un Falcon 9 la sonda DSCOVR
Dopo oltre 15 anni di attesa, la sonda DSCOVR (Deep Space Climate Observatory) è stata lanciata per la sua missione, del costo di 340 milioni di dollari, di monitoraggio dei fenomeni meteorologici spaziali diretti verso il nostro pianeta e di osservazione della Terra stessa.
Questa sonda era stata fortemente voluta nel marzo 1998 da Al Gore, all’epoca vice-presidente degli Stati Uniti d’America. Gore voleva una sonda che riprendesse ininterrottamente la faccia illuminata della Terra e le cui immagini fossero disponibili su Internet ogni 2 ore. Dotandola di una strumentazione in grado di monitorare i cambiamenti climatici sperava inoltre di sensibilizzare l’opinione pubblica e guidare al meglio le scelte politiche sui temi e le decisioni legate al clima. Il progetto venne chiamato Triana in onore di Rodrigo de Triana, il marinaio che il 12 ottobre 1492 avvistò per primo il continente americano nella storica spedizione comandata da Cristoforo Colombo.
La costruzione della sonda fu approvata, con l’obiettivo di lanciarla nel 2002 per mezzo di uno Space Shuttle. La sonda avrebbe poi autonomamente raggiunto una zona dello spazio fra la Terra ed il Sole chiamata punto Lagrangiano L-1, a 1,5 milioni di km dal nostro pianeta. Da questo punto privilegiato, la sonda avrebbe ripreso sempre e solo il lato del nostro pianeta illuminato dal Sole. Triana fu completata nella primavera del 2001 ma la sua missione venne cancellata dall’amministrazione Bush, insediatasi nel gennaio dello stesso anno. Per limitare le spese, la nuova amministrazione decise infatti di effettuare non più di sei voli Shuttle all’anno e la massima priorità fu data alla costruzione della ISS (International Space Station) e alla manutenzione di HST (Hubble Space Telescope). Non c’era quindi più posto per Triana nella scaletta di lanci delle Navette Spaziali.
Nel novembre 2001 la sonda venne così messa in un magazzino presso il Goddard Space Flight Center della NASA (l’agenzia spaziale americana), nel Maryland, dove Triana fu anche costruita. E lì rimase fino al novembre 2008, quando venne prelevata per verificarne lo stato di salute in vista di un ipotetico lancio. I controlli diedero esito positivo e la NASA stanziò dei fondi per rimetterla in condizioni di volo e per ricalibrare gli strumenti scientifici. Non essendoci però ancora una data di lancio, la sonda pienamente rigenerata se ne tornò in magazzino.
La svolta avvenne nel 2011, quando NASA, NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) e USAF (l’aviazione militare americana) raggiunsero un accordo per utilizzare la sonda, che già dal 2005 era stata rinominata DSCOVR. L’accordo prevedeva il suo utilizzo per monitorare il “meteo spaziale” grazie al suo posizionamento costante fra il Sole e la Terra, mentre l’intento originario di osservazione terrestre veniva mantenuto come obiettivo secondario. Furono reinstallati sulla sonda i cercatori stellari, i transponder, i sistemi di misurazione inerziale e le ruote di reazione, tutti componenti che erano stati immagazzinati separatamente. Nel 2012 la missione prese ufficialmente il via, con NOAA (l’ente americano che si occupa di meteorologia) a finanziare tutti i preparativi della sonda per portarla fino al lancio e USAF che pagava i costi del lancio stesso.
Il lanciatore scelto per portare DSCOVR nello spazio è stato il Falcon 9 dell’azienda americana SpaceX. Un primo tentativo di lancio è andato a vuoto domenica 8 febbraio 2015 a causa di un guasto che ha messo fuori uso uno dei radar che hanno il compito di tracciare la rotta del razzo una volta lanciato. Viste le pessime previsioni meteorologiche per il giorno successivo, si è deciso di ritentare il lancio martedì 10 febbraio, ma ancora una volta il Falcon 9 è stato tenuto a terra. Fra i 6.000 e i 9.000 metri di quota soffiavano venti ad oltre 180 km/h, una condizione inaccettabile per poter effettuare il lancio.
Il terzo tentativo è stato infine quello buono. Mercoledì 11 febbraio 2015, dopo un conto alla rovescia senza il minimo problema, il Falcon 9 si è sollevato dalla sua rampa al complesso di lancio SLC-40 di Cape Canaveral, in Florida, alle 23:03:32 GMT (le 18:03 ora locale e le 0:03 di giovedì in Italia). Le 600 tonnellate di spinta dei 9 motori Merlin 1D del primo stadio hanno sovrastato le 505 tonnellate di peso del razzo, e consumando 2,2 tonnellate al secondo di propellente (kerosene e ossigeno liquido) hanno portato il Falcon 9 a superare il muro del suono (Mach 1) dopo 70 secondi. Nei successivi 94 secondi la velocità è aumentata fino a 2 km/s, quando il primo stadio esaurendo il suo propellente si è spento e separato, 4 secondi dopo, dal resto del veicolo. Il singolo Merlin 1D del secondo stadio si è acceso come previsto 7 secondi dopo impartendo una spinta di 81,7 tonnellate e spingendo il razzo per altri 5 minuti e 49 secondi. Circa 30 secondi dopo l’accensione del secondo stadio, con il razzo ormai fuori dagli strati più densi dell’atmosfera, sono stati espulsi i due semigusci che proteggono il carico dalle sollecitazioni aerodinamiche e termiche. Lo spegnimento del secondo stadio è avvenuto nell’istante previsto acquisendo un’orbita preliminare a 185 km di altezza e con un’inclinazione di 35 gradi.
Per i successivi 21 minuti il secondo stadio ha proseguito per inerzia attendendo il momento esatto per la riaccensione, avvenuta 30 minuti e 9 secondi dopo il lancio, che con una durata di 58 secondi ha portato i 570 kg della sonda DSCOVR sull’orbita corretta per la separazione (187 x 1.371.145 km con inclinazione di 37,09°) avvenuta 4 minuti più tardi. Una volta liberata nello spazio, la sonda ha dispiegato i suoi due pannelli solari ed ha contattato le stazioni a Terra.
Per raggiungere il punto L-1 avrà davanti a sé 110 giorni di navigazione e la possibilità di effettuare tre correzioni di rotta lungo il tragitto. Una volta raggiunta la sua meta dovrà effettuare una manovra propulsiva per stabilizzare la sua orbita attorno a L-1. A quel punto inizieranno 40 giorni di test per accertarsi che la strumentazione funzioni correttamente, dopodiché la gestione della sonda passerà dalla NASA alla NOAA.
Dalla sua posizione la sonda potrà registrare in anticipo qualsiasi evento solare destinato a raggiungere il nostro pianeta, comprese le tanto temute tempeste solari e le CME (Coronal Mass Ejections) che possono mettere fuori uso le componenti elettroniche dei satelliti e causare problemi anche ad apparecchiature elettriche al suolo. Questo ruolo di vigilanza sarà il compito principale di DSCOVR e verrà svolto tramite una strumentazione chiamata PlasMag (Plasma-Magnetometer) e composta a sua volta da tre strumenti individuali (un magnetometro, una coppa di Faraday ed un analizzatore di elettroni).
L’originaria missione di osservazione terrestre verrà effettuata tramite due strumenti, NISTAR e EPIC. Il primo (National Institute of Standards and Technology Advanced Radiometer) è un radiometro che determinerà il bilancio energetico della Terra misurando la radiazione proveniente dal Sole con quella emessa dal nostro pianeta. Il secondo (Earth Polychromatic Imaging Camera) è una camera multispettrale che utilizza un telescopio Cassegrain da 30,5 cm di diametro per riprendere immagini a differenti lunghezze d’onda permettendo di misurare l’ozono, l’aerosol, le nubi, eventuali punti caldi sulla superficie e le radiazioni ultraviolette. La risoluzione massima delle immagini sarà di 25 km, mentre la frequenza di ripresa sarà di 6 immagini ogni 24 ore. La durata nominale della missione è di due anni, ma i 145 kg di propellente contenuti nella sonda dovrebbero assicurare almeno cinque anni di operazioni.
Il lancio di DSCOVR non è stato un successo solo per NASA, NOAA e USAF. Anche SpaceX ha motivo di festeggiare in maniera particolare questo lancio, il 15° del suo Falcon 9. Per la prima volta infatti SpaceX ha posizionato un carico spaziale oltre l’orbita terrestre, ampliando il ventaglio di proposte offerte alla propria clientela. Questo lancio ha anche visto l’ennesimo tentativo di recupero del primo stadio, uno degli obiettivi più ambiziosi dell’azienda americana.
Dopo la sua separazione dal resto del veicolo, il primo stadio ha continuato a salire per inerzia fino a 130 km di quota quando, quattro minuti e mezzo dopo essersi sollevato da terra, ha cominciato la discesa. Rispetto ai tentativi di rientro precedenti questo era molto diverso. Per poter posizionare il proprio carico oltre l’orbita terrestre, il profilo di volo del Falcon 9 ha richiesto un’accensione del primo stadio particolarmente lunga, che ha lasciato poco carburante per le manovre di rientro impedendo di fatto allo stadio di tornare indietro. Si è così dovuta posizionare la piattaforma galleggiante di atterraggio, chiamata ASDS (Autonomous Spaceport Drone Ship), molto più lontana dalla costa. Nel tentativo di rientro del mese scorso, la piattaforma si trovava circa 300 km al largo, mentre in questa occasione è stata posizionata a 650 km.
A causa della maggior velocità acquisita durante la salita, nella fase di rientro il primo stadio ha anche dovuto sopportare delle forze aerodinamiche doppie rispetto al tentativo di gennaio, mentre le sollecitazioni termiche erano addirittura 4 volte maggiori. Malgrado questo si è comportato egregiamente, effettuando l’accensione di 19 secondi prevista a 70 km di quota per rallentare in vista degli strati più densi dell’atmosfera sottostante. Come per il tentativo precedente, la stabilizzazione è avvenuta grazie a quattro “grid fins” comandate dal computer di bordo, mentre per la correzione fine è avvenuta un’accensione di 28 secondi del solo motore centrale.
Purtroppo ad aspettare l’atterraggio del primo stadio non c’era ASDS in quanto un mare burrascoso con onde alte sei metri ha impedito il suo utilizzo, in aggiunta al fatto che uno dei quattro propulsori che assicurano la stabilizzazione della piattaforma era fuori uso. Si è voluto comunque simulare un atterraggio sulla piattaforma anche senza di essa e così le quattro gambe di atterraggio sono state aperte come previsto 10 secondi prima del contatto con l’acqua. L’ammaraggio è avvenuto in assetto perfettamente verticale e con il motore centrale acceso che ha mantenuto la velocità di discesa sotto i 22 km/h. A completare questo successo virtuale (il primo stadio è con tutta probabilità stato subito inghiottito dal mare in burrasca) vi è il dato sulla precisione dell’ammaraggio, avvenuto a meno di 10 metri dall’obiettivo caricato nei computer di bordo.
Prosegue quindi secondo i piani questo 2015 per SpaceX, che per soddisfare i propri clienti e far fronte a dei ritardi accumulati lo scorso anno dovrà effettuare non meno di 14 lanci. Questo è stato il lancio numero due ed il fatto che sia avvenuto entro metà febbraio lascia ancora aperta la possibilità di effettuare tutti i lanci previsti. Il terzo lancio, che dovrà mettere in orbita due satelliti commerciali, è previsto entro i primi giorni di marzo mentre il prossimo tentativo di recupero del primo stadio verrà effettuato in aprile, quando il Falcon 9 porterà la capsula Dragon CRS-6 verso la ISS.
Il video del lancio di DSCOVR.
In copertina il logo della missione DSCOVR.
Fonte: Spaceflight101
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