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Lanciata Hayabusa2

Iniziato il viaggio della sonda giapponese Hayabusa2 che fra sei anni riporterà a Terra dei campioni raccolti dall’asteroide 1999 JU3.

Il lancio è avvenuto ieri (mercoledì 3 dicembre 2014) dal Launch Pad 1 del Tanegashima Space Center, il centro spaziale che si trova sulla costa meridionale di Kyushu, la più meridionale fra le principali isole giapponesi.

In realtà il lancio avrebbe dovuto avvenire tre giorni prima (domenica 30 novembre), cioè all’apertura della finestra di lancio della durata di 10 giorni entro la quale doveva tassativamente essere lanciata la sonda, ma è stato posticipato a causa di un fronte di cattivo tempo con pioggia e forti venti che ha imperversato sulla zona fino a martedì.

Sette ore e mezza prima del lancio tutto il personale è stato definitivamente evacuato nel raggio di 3 km dalla rampa per permettere le operazioni di riempimento dei serbatoi del razzo H-IIA. Nei suoi due stadi sono state imbarcate 117 tonnellate di ossigeno e idrogeno liquidi (alla temperatura rispettivamente di -183 °C e -252 °C) in un processo durato tre ore. Dopodiché sono iniziate le verifiche del sistema di comunicazione con il razzo (in banda S e in banda C), del sistema di controllo del volo, del Flight Termination System (il sistema di distruzione in caso di anomalia) e di tutti i sistemi di terra incluso il tracking (il sistema di tracciamento della traiettoria di volo).

A meno 30 minuti dal lancio Hayabusa2 ha cominciato ad attingere energia dalle sue batterie di bordo ed i tecnici hanno potuto verificare il loro corretto funzionamento. Gli ultimi quattro minuti e mezzo del conto alla rovescia sono gestiti autonomamente dai computer, che ad ogni minima anomalia hanno l’obbligo di annullare il lancio. A meno 3 minuti anche il razzo è passato all’alimentazione tramite le sue batterie e quando ormai mancava un solo minuto la piattaforma di lancio è stata inondata con migliaia di litri d’acqua. In questo modo vengono soppresse le onde acustiche generate dall’accensione dei motori che altrimenti danneggerebbero il veicolo e le strutture di terra.

Alle 4:22:04 GMT (le 13:22:04 ora locale e le 5:22:04 in Italia) il motore LE-7A del primo stadio (che fornisce 86 tonnellate di spinta al suolo e 109 nel vuoto) e i due booster laterali SRB-A a propellente solido (243 tonnellate di spinta ognuno!) si sono accesi sollevando le 285 tonnellate del razzo H-IIA. Alleggerendosi di 1.570 kg ogni secondo (tanto è il consumo di carburante dei booster e del primo stadio) il razzo ha velocemente acquisito velocità, tanto che 99 secondi dopo il lancio e allo spegnimento degli SRB-A questa aveva raggiunto il valore di 1,6 km/s. Nove secondi dopo e ad un’altezza di 53 km sono stati sganciati i booster laterali ed il motore del primo stadio è rimasto da solo a spingere il razzo, consumando 260 kg al secondo di propellente. Alla quota di 130 km e 4 minuti e 10 secondi dopo il lancio si è sganciata la copertura (pesante 1.400 kg) che proteggeva Hayabusa 2 dagli stress aerodinamici dovuti al passaggio ad altissima velocità fra gli strati più densi dell’atmosfera.

La separazione dei booster laterali – Credit: JAXA

Il lavoro del primo stadio è terminato dopo un’accensione durata 6 minuti e 36 secondi, portando il resto del veicolo a 200 km di altezza e a 5,6 km/s di velocità. Otto secondi dopo lo spegnimento è stato sganciato per permettere, dopo altri sei secondi di attesa, l’accensione del secondo stadio (o stadio superiore), propulso dal motore LE-5B che fornisce 14 tonnellate di spinta. Questa accensione è durata quattro minuti e mezzo, sufficienti per raggiungere un’orbita di parcheggio a 250 km di altezza e 7,8 km/s di velocità. Il razzo ha viaggiato quindi per inerzia lungo un’intera orbita, fino alla seconda ed ultima accensione avvenuta a sud del Giappone. Il secondo stadio del H-IIA non era mai stato nella sua storia di volo così tanto tempo in attesa di riaccendersi (per la cronaca un’ora, 28 minuti e 5 secondi) e quindi c’era il pericolo che il freddissimo propellente contenuto nei serbatoi potesse evaporare riscaldato dal Sole. Per questo motivo il secondo stadio è stato rivestito di bianco per assorbire il minor calore possibile, inoltre per tutta la durata della fase non propulsa il razzo è stato continuamente orientato, tramite il sistema di controllo dell’assetto, in modo da distribuire uniformemente il calore solare lungo la sua superficie.

Tutti questi accorgimenti hanno funzionato a dovere, tanto che il secondo stadio si è riacceso nell’istante previsto ed ha avuto sufficiente propellente per portare a termine l’accensione di quattro minuti. Grazie a questa ulteriore spinta è stata acquisita una velocità di 11,8 km/s che ha permesso di svincolarsi dalla gravità terrestre ed iniziare il viaggio verso lo spazio profondo. L’accensione è terminata ad un’ora e 43 minuti dal lancio e quattro minuti dopo Hayabusa2 è stata finalmente rilasciata per iniziare la sua missione.

Oltre ad Hayabusa2 realizzata dall’agenzia spaziale giapponese (JAXA), il razzo trasportava altri tre carichi che sono stati sganciati successivamente. Il primo di questi, rilasciato sei minuti dopo Hayabusa2, è Shin’en 2. Si tratta di un piccolo satellite interplanetario di 3 kg e realizzato dalla Kagoshima University che effettuerà studi sulla radiazione, i cui segnali dallo spazio profondo potranno essere captati dai radioamatori di tutto il pianeta grazie ad una radio amatoriale presente a bordo.

Il satellite Shin’en 2 – Credit: JAXA

Il secondo ad essere rilasciato, un’ora e 58 minuti dopo il lancio, è stato il particolarissimo ArtSat-2/DESPATCH delle Tama Art University e Tokyo University. Questa “navicella” non è altro che una scultura pesante 32 kg realizzata con la stampa 3D contenente una radio a batterie (con un’autonomia di circa una settimana) che invierà messaggi poetici autogenerati dalla telemetria di bordo.

La scultura-satellite ArtSat-2/DESPATCH – Credit: JAXA

L’ultimo carico ad essere rilasciato è stato PROCYON, una mini-sonda realizzata da JAXA e Tokyo University pesante 67 kg e dotata di motori ionici. La sua missione è quella di effettuare un passaggio ravvicinato, entro i prossimi due anni, di un asteroide e riprenderne delle immagini. La scelta dell’asteroide verrà effettuata dopo che sarà stata calcolata con precisione la traiettoria sulla quale è stata rilasciata la navicella. Lo scopo principe della missione è però quello di dimostrare la fattibilità di missioni nello spazio profondo utilizzando delle sonde molto piccole.

La mini-sonda PROCYON – Credit: JAXA

L’attenzione di tutti è però naturalmente focalizzata su Hayabusa2, che con i suoi 590 kg era il carico di gran lunga principale di questo lancio. Dopo essersi separata dal secondo stadio ha dispiegato i suoi due pannelli solari, e i prossimi giorni verranno spesi a verificare che non abbia subito danni o anomalie durante il lancio. Dopodiché il primo obiettivo sarà quello di utilizzare i suoi motori ionici allo scopo di ripassare vicino alla Terra, alla fine del prossimo anno, per ricevere la spinta decisiva che la porterà ad incrociare l’orbita del suo bersaglio, l’asteroide 1999 JU3. Si tratta di un asteroide di 920 metri che orbita fra la Terra e Marte e che verrà raggiunto nel giugno 2018. Inizialmente Hayabusa2 si posizionerà in un’orbita attorno all’asteroide a 20 km di distanza da dove misurerà il bilancio energetico e la composizione superficiale tramite due spettrometri. Naturalmente verranno anche riprese immagini con le camere di bordo.

Da questa posizione verranno poi scelti i tre siti nei quali effettuare la raccolta dei campioni. Per ognuno di questi Hayabusa2 effettuerà un avvicinamento alla superficie fino a far toccare il suo meccanismo di raccolta, che sparerà al suolo un piccolo proiettile con lo scopo di sollevare della polvere. Questa, entrando nel sistema di convogliamento, verrà raccolta e conservata fino al ritorno a Terra. Uno dei tre atterraggi avrà luogo all’interno di un cratere creato “artificialmente” dalla sonda stessa. Hayabusa2 è infatti dotata di un impattatore/penetratore esplosivo di rame che scaverà un cratere di circa 4 metri di diametro con lo scopo di portare alla luce del materiale altrimenti nascosto nel sottosuolo. Questa operazione è la più difficile dell’intera missione in quanto l’impattatore verrà acceso 40 minuti dopo il rilascio da parte della sonda e questo sarà il tempo che Hayabusa2 avrà per portarsi al sicuro dall’altra parte dell’asteroide.

Se tutto andrà per il meglio, e dopo la raccolta dei preziosissimi campioni, Hayabusa2 sgancerà verso la superficie quattro piccoli lander. Uno di questi è stato costruito in Europa dallo stesso team che ha realizzato il lander Philae della missione Rosetta. Si tratta di MASCOT (il cui peso di 10 kg sulla Terra corrisponderà a 0,2 grammi sull’asteroide!) che studierà la composizione e le proprietà della superficie. Gli altri tre si chiamano MINERVA e sono ancora più piccoli (500 grammi sulla Terra). Loro riprenderanno immagini ed effettueranno misurazioni di temperatura. Tutti quattro potranno effettuare svariati balzi per spostarsi e poter quindi investigare luoghi diversi.

Dopo 18 mesi di permanenza vicino all’asteroide, nel dicembre 2019 Hayabusa2 inizierà il viaggio di ritorno verso la Terra che verrà raggiunta un anno dopo, nel dicembre 2020. A quel punto verrà sganciata la capsula contenente i campioni raccolti che effettuerà un rientro in atmosfera protetta dal suo scudo termico per posarsi infine in una zona appositamente scelta in Australia.

Rappresentazione artistica di Hayabusa2 in prossimità dell’asteroide 1999 JU3 – Credit: Akihiro Ikeshita

Quella di Hayabusa2 sarà la più ambiziosa missione robotica verso un asteroide mai tentata prima ed il suo successo dipenderà dalle lezioni apprese dalla sonda che l’ha preceduta, Hayabusa. Quest’ultima, lanciata nel 2003 verso l’asteroide Itokawa, andò incontro ad una lunga serie di problemi fra perdite di carburante, avarie nel sistema di puntamento e malfunzionamenti del sistema di raccolta dei campioni. Malgrado ciò riuscì a ritornare a Terra, nel 2010 e con qualche anno di ritardo, e pure a consegnare nelle mani degli scienziati giapponesi dei microscopici campioni di Itokawa che sono stati trovati nella capsula rientrata a Terra.

Rispetto alla sonda che l’ha preceduta, Hayabusa2 è dotata di quattro ruote di reazione per il controllo di assetto anziché tre, sono stati migliorati il sistema di raccolta dei campioni ed il software che gestisce le operazioni in prossimità della superficie. I motori ionici sono più potenti, e la trasmissione dati alla Terra (in banda Ka) sarà 4 volte maggiore.

Questo il video del lancio

Fonte: Spaceflightnow

Immagine di copertina credit: JAXA

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