Un razzo Dnepr porta in orbita 5 satelliti giapponesi
Giovedì 6 novembre 2014 un razzo Dnepr ha messo in orbita cinque satelliti giapponesi. Il lancio è avvenuto dal silo 370/13 della base russa di Yasny Dombarovsky alle 7:35:49 GMT (le 10:35:49 ora di Mosca) e 14 minuti dopo i cinque satelliti erano già su un’orbita polare, a oltre 500 km di altezza.
Questo vettore russo è derivato dal missile balistico militare R-36M, meglio conosciuto in occidente con la designazione SS-18 Satan, che a partire dal 1966 e fino al termine della guerra fredda è stato impiegato dall’Unione Sovietica per trasportare testate nucleari in caso di conflitti.
Ora con la denominazione Dnepr viene gestito dalla società Kosmotras (una joint venture russo-ucraina), che offre lanci commerciali a basso prezzo per carichi massimi di 4.500 kg in LEO (orbita terrestre bassa). Il Dnepr pesa 211 tonnellate ed utilizza esclusivamente propellenti ipergolici. Il razzo viene dapprima “sparato” fuori dal suo silo sotterraneo per mezzo di una struttura azionata da polvere da sparo, poi appena il Dnepr emerge dal terreno la struttura di guida viene separata tramite dei piccoli motori a propellente solido permettendo al razzo di accendere il primo dei suoi tre stadi.
Questo lancio è stato il numero 21 per il Dnepr ed il secondo ed ultimo di quest’anno. Per il 2015 sono previsti altri tre lanci.
Il video del lancio.
Il principale dei cinque satelliti messi in orbita è ASNARO-1, sviluppato da NEC Corporation e USEF (Institute for Unmanned Space Experiment Free Flyer) e finanziato da NEDO (New Energy and Industrial Technology Development Organization). Si tratta del primo di una nuova famiglia di satelliti per osservazioni terrestri. Questi satelliti avrebbero dovuto essere lanciati per mezzo del nuovo vettore leggero giapponese Epsilon, ma per qualche motivo almeno per il primo di essi si è dovuto ripiegare sul razzo Dnepr. Il progetto ASNARO (Advanced Satellite with New system ARchitecture for Observation) ha preso il via nel 2008 e si basa su piattaforme satellitari a basso costo ma al contempo con tecnologie allo stato dell’arte. Questi satelliti pesano 495 kg, dei quali 200 kg riservati al carico utile e 45 kg all’idrazina che alimenta tre motori per le manovre orbitali. La quota operativa si trova a 504 km.
Lo strumento principale di ASNARO-1 è OPS, una camera ottica pesante 98 kg con risoluzione massima di 50 cm, mentre ASNARO-2 e ASNARO-3 saranno equipaggiati rispettivamente con un radar in banda X e con un sensore multispettrale.
Gli altri quattro satelliti messi in orbita, tutti pesanti fra 50 e 60 kg, sono ChubuSat-1, Hodoyoshi-1, Tsubame e Qsat-EOS.
ChubuSat-1, chiamato anche Kinshachi, è un progetto che vede coinvolte le Università di Nagoya e Daido oltre a svariate compagnie aerospaziali della regione giapponese di Chubu. Questo satellite osserverà la Terra nel visibile (con risoluzione di 10 metri) e nell’infrarosso (con risoluzione di 130 metri). Quest’ultimo strumento verrà anche utilizzato per rilevare la traccia termica di detriti spaziali.
Hodoyoshi-1, sviluppato dalla AxelSpace e dall’Università di Tokyo, è in realtà il terzo satellite della sua serie ad essere lanciato, preceduto da Hodoyoshi-3 e 4 lanciati all’inizio di quest’anno. Lo strumento principale di Hodoyoshi-1 è una camera ottica con risoluzione di 6,7 metri.
Tsubame è un progetto del Matunaga LSS (Laboratory for Space System) che fa parte del Tokyo Institute of Technology. I suoi due strumenti sono una camera ottica con risoluzione di 14 metri ed un sensore di raggi gamma per l’osservazione di GRB (Gamma Ray Burst). Quest’ultimo strumento trarrà vantaggio dalla grande abilità del satellite di cambiare orientamento, grazie ad un sistema di giroscopi progettato appositamente, potendo puntare una qualsiasi sorgente in soli 15 secondi.
Qsat-EOS, sviluppato dall’Università di Kyushu, è dotato di tre strumenti. Una camera ottica con risoluzione di 5 metri, un magnetometro che indagherà le variazioni di campo magnetico delle regioni polari ed equatoriali che causano qualche problema di magnetizzazione ai satelliti, ed infine un sensore che rileverà l’eventuale impatto di detriti spaziali a partire da 0,1 mm di diametro per capirne la distribuzione e quantità. Inoltre, al termine della missione verrà dispiegata una “vela” lunga tre metri e larga 35 cm per testare un sistema di deorbita accelerata ottenuta tramite la maggiore superficie esposta al debolissimo ma non inesistente attrito spaziale.
Fonte: Spaceflight101
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