L-420: Alcune riflessioni su Gravity
Dal Diario di bordo di Samantha Cristoforetti (questo articolo contiene spoiler):
Colonia (Germania), 7 ottobre 2013—Ho approfittato della mia imprevista domenica libera e ieri sono andata a vedere “Gravity”.
Per quello che conta, penso veramente che dovreste vederlo, se non l’avete già fatto. Un avvertimento: la mia conoscenza della cinematografia è più o meno uguale alla mia conoscenza della grammatica sanscrita. Ma mi azzardo a dire che sarete inevitabilmente commossi dalla bellezza estetica del film, i suoi sorprendenti effetti visivi, la sua musica accattivante. La trama non mi ha del tutto convinta, ma che importa? È una buona scusa per fare un viaggio nello spazio e vedere la Terra da una prospettiva orbitale. E per visitare alcune delle macchine dell’umanità nello spazio, da Hubble alla Stazione Spaziale Internazionale al veicolo spaziale Sojuz, tutti riprodotti con minuzioso dettaglio fino alle etichette dei bottoni sul pannello dei comandi. Andate al cinema, inforcate gli occhiali 3D e andate a dare un’occhiata. Dopo uscite fuori, guardate il cielo in alto e pensate che tutte quelle cose esistono per davvero, ora, in orbita terrestre. Lasciate che quel pensiero arrivi in profondità.
Ok, ora quello che volete realmente sapere. Sì, la riproduzioni dell’hardware è incredibilmente accurata, ma come la mettiamo con quello che succede realmente? È realistico?
Beh, mi dispiace, no. Secondo me, nemmeno un po’. Per dirne una c’è una serie di impossibilità fisiche. Volare da Hubble alla ISS con un jetpack? Andiamo. Sono in orbite completamente diverse: altitudini diverse, velocità orbitali diverse, piani diversi. Se non è il vostro lavoro quotidiano, i trasferimenti orbitali fuori piano possono darvi un mal di testa, semplicemente non sono intuitivi. E richiedono molto, veramente molto propellente. Non è roba per un minuscolo jetpack.
O parliamo del momento drammatico in cui il coraggioso Comandante rilascia il moschettone che lo lega alla sua compagna di equipaggio: è stato certamente di grande impatto emotivo vederlo fluttuare via sotto l’incantesimo di qualche forza magica, ma, ehm, in realtà non sarebbe accaduto molto. Avrebbe solo continuato a fluttuare proprio lì.
A ogni modo, abbiamo detto abbastanza sulle impossibilità fisiche. Parliamo delle cose che ho notato che secondo me non hanno senso dal punto di vista delle reali operazioni spaziali sulla ISS.
- Addestramento—La Dr. Stone dice che si è addestrata in sei mesi per il suo volo. Bene, io mi sono addestrata per due anni e ne ho ancora un altro da fare. E, no, non sono nemmeno in grado di pilotare un veicolo spaziale cinese.
- Cavi di sicurezza—Durante le scene della riparazione di Hubble vedete molti attrezzi in volo libero. In una passeggiata spaziale reale, niente viene mai lasciato non legato. E i membri dell’equipaggio sono in aggiunta attaccati con un cavo di sicurezza autoavvolgente che li tirerebbe indietro verso la struttura se si staccassero.
- Volo con il jetpack—Veramente i membri dell’equipaggio non volano intorno a quel modo. Il jetpack (chiamato SAFER) è solo una misura di sicurezza aggiuntiva e ha giusto abbastanza gas per volare rapidamente indietro verso la struttura se uno se ne dovesse mai staccare.
- Perdita delle comunicazioni—I satelliti per le comunicazioni, chiamati TDRS, sono satelliti geostazionari. Sono in un’orbita di 36.000 km. Non possono essere abbattuti da detriti che “volano intorno” in orbita terrestre bassa.
- O2 nella tuta che si esaurisce—In realtà, la prima riserva che si esaurirebbe sarebbe la purificazione della CO2. La Dr. Stone sarebbe morta di intossicazione da CO2 molto prima di finire l’ossigeno.
- Portelli dell’airlock—Nel film la Dr. Stone sembra facilmente in grado di “fare irruzione” in qualunque Stazione Spaziale capiti nella sua stessa orbita girando una conveniente maniglia esterna del portello dell’airlock. I portelli si aprono convenientemente verso l’esterno e gli airlock sono convenientemente isolati dal resto della Stazione. Nella realtà, non abbiamo maniglie esterne sui portelli e non teniamo gli airlock isolati—se aprite il portello, depressurizzate l’intera Stazione. Inoltre, i portelli verso il vuoto si aprono verso l’interno, non l’esterno, altrimenti non sarebbero molto sicuri, vero? Pensate a tutta quella pressione interna che vuole spingerli ad aprirsi tutto il tempo. Naturalmente, visto che si aprono verso l’interno dovete prima depressurizzare l’airlock, altrimenti avreste un momento molto difficile nel tentativo di aprirli.
- Ulteriori veicoli spaziali—Sulle varie Stazioni convenientemente localizzate sulla sua orbita, la Dr. Stone trova anche veicoli spaziali abbandonati dall’equipaggio della Stazione. In realtà, abbiamo due veicoli spaziali Sojuz per le sei persone della ISS. Se dobbiamo andarcene, li usiamo entrambi. Su una Stazione Spaziale evacuata non sarebbero rimaste Sojuz.
Ok, lascerò il resto per domani.
Nel frattempo, andate a vedere il film, portate i vostri amici e dite loro che tutto quell’hardware esiste realmente lassù in orbita ed è una magnifica realizzazione.
Nota originale in inglese, traduzione italiana a cura di Paolo Amoroso—AstronautiNEWS. Leggi il Diario di bordo di Samantha Cristoforetti e l’introduzione.
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nice!
Sei forte Samantha!!!
Credo che il volto dell’astronauta morto con il casco rotto non appaia semplicemente avvizzito come si vede nel film, ma la pressione dei liquidi interni dovrebbe farli uscire violentemente verso l’esterno…
Io non ancora visto il film ‘Gravity’, comprendo bene quello che sto leggendo dai vostri commenti . . . ma ne approfitto per ricordarvi che esiste la possibilità di costruire navette a propulsione inerziale. provare per credere 😉 ! Cordiali saluti
Adesso non ho tempo, magari dopo cena ci provo.
Simpaticissimo . . . lascia perdere poichè non sai nemmeno da dove cominciare: per il dopocena ti suggerisco di vedere un film (Alla ricerca di Nemo) oppure se vuoi rimanere nel campo guardati Balle Spaziali .
A me il film è piaciuto moltissimo. In effetti non mi sono curato molto delle imprecisioni scientifiche: non è un documentario e quindi ci si può stare. È un ottimo thriller con buoni effetti speciali e una storia basata su una scenografia e un cast minimalista. Davvero ottimo.