Malcom Scott Carpenter, uno dei cosiddetti “original seven”, ovvero dei primi sette astronauti del progetto Mercury è morto Giovedì 10 Ottobre 2013 all’età di 88 anni.
In questi giorni in cui i siti web della NASA non sono disponibili, è da siti come Spaceflight Now.com e CollectSPACE.com, fra gli altri, che apprendiamo la triste notizia.
Carpenter è deceduto alle 13:30 italiane di Giovedì con la moglie Patty al suo capezzale, secondo quanto riferito dalla stessa famiglia dell’astronauta a CollectSPACE.
Il penultimo degli original seven, era ricoverato in un ospedale di Denver da un paio di settimane a causa di un malore che lo aveva lasciato semi paralizzato e con difficoltà nel parlare. Al momento del ricovero è sembrato che la situazione fosse recuperabile, ma negli ultimi giorni le sue condizioni sono precipitate fino al triste epilogo.
“Oggi, il mondo piange la perdita di Scott Carpenter.” Ha detto l’Amministratore della NASA Charles Bolden. “Essendo uno dei 7 astronauti originali del progetto Mercury, egli è stato nella prima avanguardia del nostro programma spaziale, facendo parte di quel gruppo di pionieri che ha dato l’avvio agli sforzi della nostra nazione al di fuori della Terra. I suoi risultati hanno davvero aiutato la nostra nazione a progredire nello spazio, dai primi giorni alla leadership mondiale di cui possiamo godere i benefici oggi. “Ci mancheranno la sua passione, il suo talento ed il suo impegno, perseguito tutta la sua vita, per l’esplorazione.”
Test pilot della Marina e veterano della guerra di Corea, Carpenter venne scelto per il Project Mercury il 9 Aprile 1959, unendosi ad altri sei test pilots: Alan Shepard, Virgil “Gus” Grissom, John Glenn, Wally Schirra, Gordon Cooper e Deke Slayton; andando a formare la prima classe di astronauti degli Stati Uniti d’America.
Dopo due voli sub-orbitali portati a termine da Shepard e Grissom, Glenn divenne il il primo americano in orbita nel Febbraio del 1962. In quella occasione Carpenter ricoprì il ruolo di backup di Glenn riuscendo poi ad andare nello spazio con il razzo Mercury-Atlas 7, il 24 Maggio del 1962.
CollectSPACE.com ci ricorda i raggiungimenti della sua missione. Nel corso delle tre orbite pianificate, Carpenter portò la sua capsula Aurora 7 a raggiungere una quota massima di 264 km e lavorò su di una serie di esperimenti scientifici nel corso del volo. Inoltre diventò il primo astronauta a mangiare cibo solido nello spazio – cubetti di cioccolato, fichi e datteri miscelati con cereali ad elevato contenuto proteico.
“Dovete comprendere che la mia esperienza a zero-g, benché trascendente e più divertente di quello che possa spiegarvi, alla luce dei raggiungimenti degli attuali voli spaziali, è stata molto breve.” Carpenter ha affermato nel 1999 in un’intervista rilasciata alla NASA. “La sensazione di zero-g e la percezione visuale del volo spaziale sono esperienze trascendenti ed io auguro a tutti di poterle provare.”
Il volo rischiò di trasformarsi in un dramma quando, durante un passaggio sopra l’Australia, Carpenter “inavvertitamente di dimenticò di spegnere un sistema di controllo attitudinale passando ad un altro, raddoppiando così per un certo lasso di tempo il consumo di propellente,” ha scritto lui stesso in un racconto in terza persona.
“La scarsità di carburante divenne critica durante la fase del rientro, nel resto del volo egli continuò ad accumulare ritardi con il piano di volo, che venne da lui stesso descritto come troppo ambizioso.”
Al momento opportuno Carpenter pensava di avere la capsula correttamente orientata per il rientro, tuttavia il naso della sua Aurora 7 stava puntando 25 gradi più a lato di quello previsto, a causa del malfunzionamento di un sensore. Ciò contribuì a far sì che la Mercury mancasse il punto di splashdown di circa 281 km.
Quindi, i retro-razzi “non svilupparono la piena spinta prevista,” ha scritto. “”E per concludere, i tre propulsori si attivarono con circa tre secondi di ritardo e benché vennero progettati per accendersi automaticamente, non lo fecero.”
Carpenter ha affermato di aver premuto l’interruttore di accensione dei retrorazzi al momento corretto, ma “trascorsero altri due secondi prima che entrassero in funzione e alla velocità orbitale di 8 km/s, il lasso di tre secondi corrispondeva ad una distanza di 24 km dal punto previsto di accensione.”
Aurora 7 effettuò lo splashdown nell’Oceano Atlantico circa 1600 km a sud est di Cape Canaveral, a circa 400 km dal previsto punto di ammaraggio. Dopo alcuni momenti di paura, gli equipaggi addetti al recupero trovarono Carpenter circa 40 minuti più tardi, al sicuro nel canotto di salvataggio accanto alla sua capsula. Il volo durò 4 ore e 56 minuti.
Alcune critiche più tardi, ritennero che Carpenter fosse stato distratto dagli esperimenti che stava svolgendo e che ciò gli impedì di gestire al meglio il problema del propellente quando prese il controllo manuale della capsula. Un’analisi ufficiale condotta dalla NASA dopo il volo, stabilì che l’astronauta gestì con successo una situazione potenzialmente pericolosa.
Tuttavia, la devozione verso la scienza a scapito dell’ingegneria palesata da Carpenter nelle fasi iniziali del programma Mercury, infastidì qualcuno all’interno dell’agenzia spaziale statunitense. A causa anche dell’infortunio patito al braccio, Carpenter non volò mai più nello spazio.
La carriera di Scott Carpenter alla NASA, proseguì lo stesso negli anni seguenti come Executive Assistant del direttore del Manned Spaceflight Center di Houston. Egli lavorò sul lander lunare del progetto Apollo e fu attivo nel training subacqueo degli equipaggi.
È proprio durante questa fase della sua vita che Carpenter, sempre secondo quanto scritto da lui stesso, “subì il fascino delle attività subacquee svolte dall’oceanografo francese J.Y. Cousteau nel suo programma Conshelf,” notando “molti paralleli fra quel tipo di lavoro e quello svolto nel programma spaziale americano.”
Verso la fine del 1963 prese un periodo di aspettativa dalla NASA per partecipare al progetto subacqueo della Marina statunitense SeaLab, anche se un incidente motociclistico gli procurò la frattura di un braccio impedendogli di partecipare all’attività sottomarina.
Nel 1965 prese un altro periodo di aspettativa dalla NASA per partecipare a SeaLab II nell’Oceano Pacifico al largo della California. Egli trascorse un mese sul fondale oceanico a 62 metri di profondità guidando due teams di subacquei.
Dopo un altro breve periodo di lavoro alla NASA, Carpenter riprese il lavoro con il Navy’s Deep Submergence Systems Project nel 1967, come direttore delle operazioni di SeaLab III, sviluppando tecniche subacquee, tecniche di salvataggio e recupero ed altre ricerche. Dopo diversi ritardi, guasti e difficoltà varie, la morte di uno dei sub portò alla cancellazione del progetto.
Scott Carpenter lasciò la Marina degli Stati Uniti 1969 per fondare la Sea Sciences Inc., un’impresa dedicata allo sviluppo di programmi “volti ad un maggiore utilizzo delle risorse oceaniche e al miglioramento della salute del pianeta,” secondo quanto riportato dalla sua biografia della NASA. “Per perseguire questi obiettivi, egli lavorò al fianco dell’oceanografo J.Y. Cousteau ed al suo team Calypso, immergendosi nella maggior parte degli oceani del pianeta, incluso il mar Artico, dove ha svolto immersioni sotto il ghiaccio.
Nato a Boulder, Colorado, l’1 Maggio 1925, Carpenter era figlio di un ricercatore chimico. Ha frequentato l’University of Colorado dal 1945 al 1949 ottenendo una laurea in ingegneria aeronautica. Nel 1949 entrò nell’U.S. Navy divenendo aviatore navale nel 1951. Nel corso del conflitto coreano Carpenter partecipò a missioni anti-sottomarino e di sorveglianza prima di iniziare il training presso la Navy Test Pilot School in Patuxent River, Maryland, nel 1954. Quindi è stato nella Electronics Test Division of the Naval Air Test Center, volando su diverse tipologie di velivoli jet, bombardieri ed idrovolanti.
Carpenter è stato premiato con la Navy’s Legion of Merit, la Distinguished Flying Cross, la NASA Distinguished Service Medal, l’U.S. Navy Astronaut Wings ed il Collier Trophy.
È stato sposato quattro volte divorziando tre. Ha avuto 7 figli di cui uno è già deceduto.
Fonti: SpaceflightNow.com; CollectSPACE.com
Nella foto in evidenza, Scott Carpenter ai tempi del Programma Mercury (C) scottcarpenter.com.com