ATV (Automated Transfer Vehicle): tutto quello che c’è da sapere
Lo scorso 5 giugno alle 21:52:11 UTC ha preso il via dalle coste di Kourou, nella Guyana francese, la missione ATV-4 “Albert Einstein”, penultima spedizione verso la Stazione Spaziale Internazionale del veicolo di rifornimento e servizio nato in casa ESA. Dopo la serie di articoli già pubblicati negli scorsi giorni, per comprendere meglio l’utilità di questo veicolo proviamo ad approfondirne le caratteristiche principali ed i possibili futuri sviluppi.
ATV: cos’è e a cosa serve
L’ATV, acronimo di Automated Transfer Vehicle, è un veicolo automatico senza equipaggio costruito dall’Agenzia spaziale Europea ESA, lanciato in orbita esclusivamente a bordo del razzo vettore Ariane 5.
È utilizzato per rifornire la Stazione Spaziale Internazionale con carichi da trasportare in ambiente pressurizzato, nonché acqua, aria, azoto e ossigeno. Quasi metà del carico è rappresentato però da propellente, necessario non tanto per le manovre orbitali di ATV, ma per innalzare l’orbita della ISS, compensando le perdite di quota dovute all’attrito con gli strati più esterni dell’atmosfera terrestre, estremamente rarefatta ma presente anche alla quota di 400 km.
Fino ad oggi sono quattro gli ATV lanciati a partire dal marzo del 2008, tutti battezzati con il nome di illustri personaggi europei: Jules Verne (ATV-1), Johannes Kepler (ATV-2), Edoardo Amaldi (ATV-3), Albert Einstein (ATV-4). Recentemente è stato annunciato il quinto volo della serie ATV, che si chiamerà Georges Lemaître (ATV-5).
Il profilo di missione di ATV non differisce molto da quello delle capsule russe Progress, di cui peraltro eredita il sistema di attracco alla Stazione, migliorato con una serie di accorgimenti tecnici “made in Europe” del tutto unici. Le differenze tra i due “camion spaziali” appaiono evidenti però non appena si dà uno sguardo alla taglia dei vari mezzi che visitano regolarmente la ISS. ATV è, dopo il pensionamento dello Space Shuttle, il più grande e capiente di tutti (Fig. 1 e 2).
- Lunghezza: 9,794 m (sonda di attracco retratta)
- Diametro massimo: 4,480 m
- Apertura dei pannelli solari: 22,281 m
- Massa a secco (cioè esclusi i propellenti): 10.470 kg
- Massa dei propellenti: 2.613 kg
- Massa totale del veicolo: 13.083 kg
- Capacità totale di carico: 7.500 kg
- Massa totale massima al lancio: 20.750 kg
- Capacità di trasporto rifiuti: 6.300 kg
Lanciati all’incirca ogni 17 mesi, gli ATV utilizzano i dati dei satelliti GPS e due Star Tracker(1) per completare il rendezvous con la parte russa della Stazione Spaziale. Il cammino di avvicinamento comprende i seguenti passi:
- LEOP: immediatamente dopo l’arrivo nell’orbita prestabilita, a circa 260 km di quota, si stabilizza l’assetto del veicolo e poi si svolge l’operazione cruciale per il proseguo del volo, cioè l’apertura e il dispiego dei pannelli solari, seguiti dall’antenna ad asta per le comunicazioni in banda S.
- PHASING: per 5/8 giorni si modifica gradualmente l’orbita iniziale di ATV per avvicinarlo sempre più alla ISS
- Raggiunta la ISS in un’orbita più bassa, iniziano ulteriori manovre di preparazione all’attracco guidate dal sistema GPS di bordo, identificate in Fig. 3 con le sigle S -4, S -3, S -2 e S -1.
- Gli ultimi 240 minuti di viaggio sono quelli cruciali: partendo dal punto S -½ ATV si avvicina sempre più al cono di attracco di Zvezda, finché non si trova alla distanza prevista per far entrare in azione due più sofisticati strumenti del sistema GNC (Guidance and Navigation Control), alla base delle capacità di aggancio autonomo: il videometro ed il telegoniometro laser.
- Dalla distanza di 250 metri quindi inizia l’approccio finale, ed in caso di imprevisti dell’ultimo minuto la manovra può essere abortita con una sequenza preprogrammata di manovre anti collisione, del tutto indipendenti dal normale sistema di manovra, attivabile in qualsiasi momento dagli astronauti a bordo della ISS.
- Nel caso tutto vada per il meglio si arriva alla fase di DOCKING, estremamente delicata. La sonda di attracco di ATV viene guidata dal cono del portello di attracco del modulo Zvezda verso un punto centrale, nel quale i ganci della testa della sonda scattano e si aprono, creando una prima connessione fisica tra il cargo e la Stazione.
- La sonda di attracco viene poi retratta, “tirando” letteralmente ATV verso il boccaporto e formando un corridoio a tenuta d’aria attraverso il quale, una volta aperto il portello, gli astronauti potranno passare per accedere al vano carico.
In questo video il Direttore di Missione Kris Capelle, già autore delle illustrazioni che corredano questo articolo, spiega con chiarezza l’andamento delle operazioni.
ATV rimarrà parte della ISS per un massimo di sei mesi, durante il quale l’equipaggio rimuoverà il carico, sostituendo alle preziose merci ed esperimenti oltre 6 tonnellate di spazzatura e altro materiale ormai inutilizzabile. ATV è in grado inoltre di rilasciare aria e acqua pulita direttamente nei sistemi della Stazione, così come di prelevarne e stivare rifiuti liquidi non riciclabili.
Ad intervalli tra i 10 e i 45 giorni i motori a razzo principali di ATV verranno accesi, come già accennato, per innalzare l’orbita della Stazione.
Al termine dei sei mesi ATV si distaccherà da Zvezda, e spinto lontano da una serie di manovre si tufferà nell’atmosfera terrestre trasformandosi in una vera e propria “meteora” e disintegrandosi quasi totalmente.
In filmato che segue mostra le immagini del rientro dell’ATV -1 “Jules Verne”, avvenuto il 29 settembre 2008, ripreso da un team dell’Ames Resarch Center della NASA. Non è difficile notare subito la rotazione del veicolo ormai fuori controllo, seguita dalla vampata causata dell’esplosione del propellente rimasto nel sistema RCS. Da quel momento in poi l’intero veicolo spaziale si frammenta in centinaia di piccoli pezzi, come un gigantesco fuoco d’artificio.
Rientro atmosferico: qualche dettaglio extra
Abbiamo accennato di come ATV concluda la sua missione con un tuffo pirotecnico nell’atmosfera terrestre. Ma com’è possibile che un oggetto la cui massa supera le 20 tonnellate, ed è composto prevalentemente da metallo, possa disintegrarsi tanto facilmente? E dove finisce il materiale rilasciato lungo il tragitto? La risposta è ovviamente legata alla elevatissima temperatura raggiunta durante il rientro (oltre 1500° C).
Per restare in orbita bassa terrestre il cargo spaziale di casa ESA deve muoversi alla velocità di circa 28.000 km/h, pari a 7,7 km/sec. Quando si scende sotto questa velocità (come accade dopo l’accensione dei i motori a razzo in senso contrario a quello del moto, comandata apposta per iniziare la deorbitazione), si rompe l’equilibrio tra forza di gravità e la forza centrifuga impressa dal razzo al momento del lancio, e si comincia a cadere. Con la quota che si abbassa inizia una sorta di circolo vizioso: scendendo l’atmosfera diventa via via sempre più densa, sviluppando sulla struttura di ATV un attrito (e un calore) crescente che agisce da freno, causando una ulteriore discesa con un ancor più evidente rallentamento, e così via. Agendo come ganasce e disco di un gigantesco freno, mentre il nostro ATV scende sempre di più l’attrito generato dai gas atmosferici lo surriscalda, arrivando in breve tempo a superare il punto di fusione dell’alluminio (attorno ai 660° C), componente strutturale principale dei veicolo.
I numeri in gioco sono impressionanti: l’energia meccanica (Energia Meccanica = Energia Cinetica + Energia Potenziale) di un ATV che viene dissipata sotto forma di calore durante il rientro è molto grande. Applicando qualche formula di fisica non è difficile calcolare che con una massa pari a 17.000 kg, che sfreccia a 7.7 km/sec all’altitudine di 370 km essa equivale a circa 5,66×1011 Joule, pari a 1,57×105 KWh o, in altre parole, al consumo di energia elettrica di una utenza italiana media (3.600 KWh/anno) per 43 anni.
Eppure qualche frammento potrebbe comunque superare questa fase intatto: fattori determinanti sono la forma del satellite ed il materiale impiegato della costruzione delle sue componenti. È la norma che i serbatoi del carburante e varie parti dei motori a razzo siano fabbricati con metalli ben più resistenti al calore dell’alluminio, come leghe di titanio o acciaio, e quindi vengano ritrovati al suolo praticamente integri.
Molti lettori ricorderanno i risultati della ricerca metodica dei resti dello Space Shuttle Columbia dopo il suo catastrofico ritorno dalla missione STS-107 nel gennaio 2003. Centinaia di squadre setacciarono il territorio di Luisiana e Texas recuperando moltissimi frammenti, anche se delle ali, però, composte prevalentemente di leghe di alluminio, non fu ritrovato praticamente nulla, mentre alcuni tank dei propellenti, i carrelli e le testate delle turbopompe arrivarono al suolo solo con qualche ammaccatura (Fig. 4.1 e 4.2).
È bene specificare che il rischio che una persona venga colpita da un frammento cosmico è molto basso ma non nullo (Fig. 4.3), e per questo si programma con attenzione il percorso di rientro così che l’area di ricaduta del materiale sia ben lontana dai centri abitati. Questa è stata e sarà la tecnica utilizzata per il rientro di tutti gli ATV (ma anche, in passato, per la gloriosa stazione spaziale MIR) la cui corsa si concluderà nel cosiddetto “cimitero spaziale”, un’area ben precisa nell’Oceano Pacifico del sud.
I Record di ATV
ATV ha stabilito varie “prime” sia a livello europeo che mondiale:
- è il veicolo spaziale più pesante mai lanciato dall’ESA
- è il veicolo spaziale più pesante mai lanciato su un razzo Ariane
- può trasportare in totale circa tre volte il carico utile dei cargo russi e un carico leggermente superiore a quello del veicolo giapponese HTV
- ha la maggiore capacità di riposizionamento orbitale tra tutti i veicoli che visitano la Stazione Spaziale Internazionale
- può eseguire un attracco automatico alla Stazione con un margine di errore inferiore ai sei centimetri
- è dotato del software di volo più sofisticato mai sviluppato dall’ESA
Il futuro di ATV
La missione “Georges Lemaître” sarà il quinto e ultimo volo del programma ATV, salvo sorprese impreviste. L’esperienza acquisita nel corso di questi cinque anni non andrà comunque persa: il management ESA ha stretto recentemente un accordo bilaterale con la NASA per progettare, costruire e fornire almeno un esemplare del modulo di servizio che sarà impiegato dalla costruenda capsula Orion, erede dello Space Shuttle.
L’accordo per il momento comprende esclusivamente il “Service Module” che volerà nella missione EM-1 e relative parti di ricambio. Se queste componenti non dovessero essere utilizzate, allora potrebbero essere impiegate per costruire un secondo esemplare di SM, da usare per il volo EM-2. I vantaggi sono evidenti per entrambi i partner: da una parte NASA otterrà un design di Orion/MPCV più affidabile e robusto grazie al coinvolgimento di ESA nel programma; dall’altra ESA acquisirà nuove competenze e conoscenze grazie al lavoro svolto, per la prima volta, costruendo un componente destinato a funzionare nello spazio profondo.
Per quanto riguarda l’impegno economico di ESA, anche se per il momento non circolano cifre precise, il 60% dei costi di costruzione del primo SM e delle attività correlate (engeneering, est ecc) sarà coperto dal budget approvato recentemente dalla Ministeriale svoltasi a Napoli. Nell’intervista rilasciata lo scorso 16 gennaio il direttore per la divisione Human Spaceflight and Operations di ESA, Thomas Reiter, ha affermato che l’intero programma legato al “Service Module” peserà sul bilancio ESA per circa 150 milioni di euro. Lo stesso Reiter ha poi proseguito sottolineando come per la nostra agenzia continentale questo sia l’inizio di una collaborazione si vorrebbe estendere in futuro, e che rappresenta la naturale convergenza delle esperienze fatte in passato con ATV e Ariane 5. Partendo da queste basi si vuole acquisire nuovo know-how, soprattutto relativo alle operazioni “deep space”.
Come seguire la missione “Albert Einstein”
A parte un’autoreferenziale rimando a AstronautiNEWS.it e ForumAstronautico.it, che saranno costantemente aggiornati per darvi tutte le notizie in italiano, ci sentiamo di definire il Blog di ESA “Albert Einstein” la fonte migliore. Frutto della penna di Daniel Scuka, brillante addetto alle PR di ESA con base a Darmstadt, è ricco di chicche (che abbiamo anche usato nella redazione di questo articolo) e racconta i fatti con un tono molto diverso rispetto ai “classici” comunicati stampa.
“Goodies corner”
Se dopo la lettura di questo articolo vi fosse venta voglia di passare a qualcosa di pratico, eccovi il fantastico modellino in carta da costruire di Automated Transfer Vehicle, direttamente dal sito web di ESA.
Fonti e link per approfondire
- ESA
- NASA
- VARI
- FAA – Returning from space
- Politecnico di Milano – Progetto MICENE – Misure dei consumi di energia elettrica nel settore domestico
- Spacemonkee on Flickr
- Università di Padova – Presentazione sul sistema ADCS (Attitude Determination and Control Subsystem)
Note
(1) Gli Star Tracker, in italiano sensori stellari, sono tra gli strumenti per la determinazione dell’assetto di norma imbarcati su satelliti artificiali o mezzi spaziali abitati, e sono in grado di mappare la porzione di cielo contenuta nel loro campo visivo e traccianre la posizione di tutte le stelle sopra un certo limite di magnitudine. In seguito, con modalità differenti a seconda delle versioni e dell'”intelligenza” del sensore, le coordinate delle stelle vengono confrontate con un catalogo stellare, consentendo di determinare con ottima precisione (errore < 1 arcosecondo) l’orientamento secondo almeno due assi (quelli su cui il sensore non è allineato).
Ove non diversamente indicato, questo articolo è © 2006-2024 Associazione ISAA - Leggi la licenza. La nostra licenza non si applica agli eventuali contenuti di terze parti presenti in questo articolo, che rimangono soggetti alle condizioni del rispettivo detentore dei diritti.