Hayabusa 2: il Giappone ci riprova
Gli ingegneri giapponesi sono stati molto impegnati nell’apportare il maggior numero possibile di modifiche alla loro sonda Hayabusa 2, che dovrebbe partire entro la fine dell’anno venturo per una nuova missione di raccolta campioni da un asteroide e successivo rientro a Terra.
Purtroppo i tempi ristretti non consentono di intervenire in modo radicale sul design della sonda, per far tesoro di quanto appreso durante la precedente missione Hayabusa che si concluse 3 anni fa. Per la verità, la missione originale fu afflitta da una incredibile serie di inconvenienti anche seri (malfunzionamento del dispositivo di raccolta, perdita di carburante, guasti al motore a ioni, problemi alla ruota di reazione, problemi alle batterie ed una perdita di comunicazioni con la Terra durata due mesi), ed il fatto che si sia conclusa con un parziale successo è comunque da considerarsi un trionfo dell’astronautica nipponica.
Hayabusa 2 è diretta verso l’oggetto 1999 JU3, con una lunghezza di circa un chilometro, e stazionerà nei suoi pressi per 18 mesi circa. Sono previsti tre avvicinamenti per la raccolta dei campioni, ed il rientro della capsula destinata a riportare il materiale raccolto a terra è atteso per il dicembre 2020.
In due dei tre tentativi, H2 si avvicinerà al bersaglio a bassa velocità, e tenterà di acquisire campioni tramite un tubo di circa un metro di lunghezza. H2 dovrà sparare dei proiettili di tantalio in modo da sollevare dei detriti che verranno catturati da questo dispositivo e trasferiti nella camera di stoccaggio. Anche il meccanismo di sparo malfunzionò durante la prima missione, inibendo grandemente la possibilità di raccolta dei reperti. Per questo, JAXA ha pervisto di dotare il braccio di raccolta di una sorta di “rastrello” alla sua estremità, in modo da poter grattare direttamente la superficie dell’asteroide in caso di nuovi problemi al cannone di bordo.
Il terzo avvicinamento sarà preceduto dal lancio di un proiettile di rame grosso come un pompelmo, che scaverà un piccolo cratere sulla superficie. H2 dovrà poi posarsi nei pressi del cratere e raccogliere i campioni di sottosuolo così esposti.
H2 è leggermente più grossa della sonda precedente, ed ha lo stesso numero di motori a ioni (quattro), sebbene complessivamente più potenti. Inoltre la sua antenna per la banda Ka consentirà di inviare più velocemente dati ed immagini a Terra, con il supporto del Deep Space Network di NASA. Altri importanti miglioramenti hanno riguardato il software di bordo, reso ancora più resistente agli attacchi sporadici causati dai raggi cosmici.
Dopo il suo arrivo nei pressi di 1999 JU3, Hayabusa 2 eseguirà delle analisi visive, spettrometriche ed altimetriche. Verrà anche sganciato un piccolo rover, denominato MINERVA, che si sposterà sulla superficie dell’asteroide e, a sua volta, metterà in funzione il lander MASCOT (Mobile Asteroid Surface Scout, di fabbricazione tedesca). Esso misurerà il campo magnetico locale, la temperatura della superficie, la composizione della roccia, oltre a scattare numerose fotografie durante e dopo la discesa. Gli scienziati compareranno i dati di Mascot a quelli del lander giapponese, ed entrambi verranno usati come riscontro per gli esami che verranno effettuati sui campioni che eventualmente H2 riporterà a terra nel 2020.
Va sottolineato come 1999 JU3 sia un oggetto spaziale notevolmente differente da Itokawa, l’asteroide raggiunto dalla prima missione. Quest’ultimo è un tipo S, composto di rocce e metalli riscaldati e trasformati durante l’evoluzione del sistema solare. Per questo ha perso buona parte dei suoi marcatori chimici originali. Per contro, 1999 JU3 è un tipo C, una classe di oggetti molto primitivi costituiti da minerali organici ed idrati. Gli scienziati si aspettano dunque di trovarvi tracce delle fasi iniziali dell’evoluzione del sistema solare, compresi i mattoni basilari dello sviluppo della vita, quali gli amminoacidi.
Ci si aspetta di recuperare complessivamente da uno ad alcuni grammi di materiale, molto meno dei 60 grammi che rappresentano l’obiettivo della missione NASA OSIRIS-REx del 2016 (alcuni ottimisti fissano in quasi due chili di reperti la capacità massima di questo progetto americano). Il bersaglio di OSIRIS-REx è molto simile per composizione a 1999 JU3, e dovrebbe essere raggiunto nel 2020, con rientro per il 2023.
Tuttavia, Quantità non significa qualità: i giapponesi ritengono che il loro sistema di raccolta, che evita di mescolare i vari campioni ed è a prova di evaporazione, sarà comunque in grado di offrire contributi scientifici determinanti.
Anche in Giappone, comunque, non si dimentica la necessità di coinvolgere il grande pubblico in queste esplorazioni scientifiche, magari con iniziative un po’ frivole ma di grande impatto. Proprio in questi giorni sono partiti due concorsi per iscrivere il proprio nome sul “target marker” che verrà depositato sull’asteroide da Hayabusa 2, oppure per registrare nomi, immagini e messaggi nella memoria della capsula che rientrerà a terra al termine della missione con i campioni raccolti.
fonte: JAXA
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