MESSENGER svela nuovi dettagli della superficie di Mercurio
A soli sei mesi dal suo arrivo in orbita attorno a Mercurio, la sonda MESSENGER della NASA sta inviando a terra informazioni capaci di rivoluzionare le idee che gli scienziati avevano elaborato riguardo le dinamiche interne del primo pianeta del Sistema Solare.
L’analisi dei dati inviati dalla piccola astronave hanno permesso di osservare, ad esempio, come le eruzioni vulcaniche siano state un fenomeno diffuso su scala globale; hanno consentito di elaborare la prima immagine ravvicinata delle particolari cavità presenti sulla superficie Mercurio; hanno rivelato la composizione chimica della crosta, per la prima volta ottenuta con una misurazione diretta; ed infine hanno consentito di catalogare gli ioni che compongono il plasma presente nello spazio nelle vicinanze del pianeta.
Tutti i risultati sono riportati in sette articoli specialistici pubblicati sulla rivista Science, nel numero del 30 settembre 2011.
“Gli strumenti di MESSEGER stanno catturando dati ottenibili solo operando dall’orbita”, ha affermato il Principa Investigator di MESSENGER Sean Solomon, del Carnegie Institution di Washington. “Abbiamo fotografato molte aree della superficie ad una risoluzione mai raggiunta in precedenza; abbiamo potuto osservare per la prima volta le zone polari e costruire un’immagine globale del pianeta; stiamo mappando la composizione chimica della superficie di Mercurio e continuiamo a raccogliere dati sull’esosfera ionizzata e non ionizzata; infine stiamo facendoci un’idea della geometria del campo magnetico e della magnetosfera. E siamo solo all’inizio. Mercurio ha molte altre sorprese in serbo per noi, per il proseguo della missione”.
Esondazioni vulcaniche
Per decenni gli scienziati si sono interrogati sull’eventuale presenza di depositi vulcanici sulla superficie di Mercurio. I primi tre flyby effettuati da MESSENGER avevano dato risposta affermativa a questi interrogativi, tuttavia non si era potuta determinare con precisione la distribuzione del materiale vulcanico. I nuovi dati arrivati dall’orbita mostrano ora con chiarezza l’esistenza di vaste estensioni di pianori vulcanici che circondabi la regione del polo nord mercuriano.
Questi depositi vulcanici sono molto spessi. “Lo studio delle dimensioni degli antichi bacini vulcanici sepolti dai depositi mostra che in alcuni punti lo spessore della lava ha raggiunto i 2 chilometri, ha spiegato James Head della Brown University, principale estensore di uno degli articoli riportati dalla rivista Science. “Se ipotizzaste di trovarvi alla base del Washington Monument, la superficie della colata lavica si troverebbe qualcosa come 12 volte l’altezza del monumento stesso sopra la vostra testa”.
Secondo Head questo tipo di depositi sono il risultato di vere e proprie inondazioni di lava, cioè enormi ammassi solidificati di roccia fusa analoghi a quelli formatisi alcuni milioni di anni fa nel gruppo basaltico del fiume Columbia, che ad un certo momento della storia arrivarono ad occupare una superficie di 150.000 km quadrati nella zona nordest degli Stati Uniti. “Quelli su Mercudio (i depositi ndr) sembrano essersi formati da materiale magmatico uscito da fessurazioni lineari, che ha ricoperto le aree circostanti inondandole completamente fino a seppellire le sue proprie sorgenti”.
Gli scienziati hanno anche scoperto alcune fratture, lunghe fino a 25 km, che sembrano essere la sorgente di alcune delle caldissime colate laviche che correvano su Mercurio, capaci di erodere il substrato su cui scorrevano fino a scavarsi vere e proprie valli. Queste colate laviche concludevano la loro corsa dando origine a scarpate dalla caratteristica forma a goccia. “Queste incredibili formazioni sono di tipo molto raro, e simili a quelle che sulla terra sono chiamate komatiiti, presenti nelle prime fasi della vita geologica della Terra ma di cui oggi sono rimaste poche tracce”.
Mentre MESSENGER continua ad orbitare attorno a Mercurio, il team che si occupa delle immagini sta costituendo un catalogo globale di questi depositi vulcanici, e sta usando tutti gli strumenti utili alla costruzione di una storia completa del vulcanismo del pianeta.
Le cavità di Mercurio
Le immagini raccolte da MESSENGER hanno svelato una particolare classe di formazioni geologiche del tutto inaspettate, e gli scienziati ritengono che la loro formazione si debba ad un fenomeno geologico fino ad oggi non ben compreso. Le foto scattate durante i flyby delle missioni Mariner 10 e MESSENGER hanno mostrato che le parti pianeggianti e i picchi centrali di alcuni crateri da impatto sono molto brillanti, e hanno una colorazione di tonalità bluastra se confrontate ad altre aree di Mercurio. Questi depositi sono apparsi inusuali, in quanto nessun cratere di caratteristiche simili era stato osservato sulla nostra Luna. Le missioni passate (Mariner 10, ndr) non disponevano della capacità di raccogliere immagini ad alta definizione, perciò la natura dei depositi è rimasta a lungo un mistero.
Finalmente la missione MESSENGER ha effettuato osservazioni mirate e ravvicinate di molti di questi crateri.
“Con grande sorpresa del team scientifico della missione, è apparso chiaramente che le aree brillanti sono in realtà composte da numerose piccole cavità, poco profonde e di forma irregolare, distribuite sul territorio in piccoli gruppi”, ha affermato David Blewett, uno scienziato della Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) di Laurel, co-autore di uno degli articoli apparsi su Science. “Il team scientifico ha adottato il termine “cavità” per definire queste formazioni, e distinguerle dalle altre depressioni presenti su Mercurio”.
Le cavità sono state ritrovate in un ampio spettro di latitudini e longitudini, perciò appare chiaro che si tratta di un fenomeno diffuso su scala planetaria. Molte di queste depressioni hanno pareti interne brillanti, e Blewett ha spiegato come le formazioni scoperte fino ad oggi sembrano molto recenti e che non sono concentrate solo nei crateri da impatto, ad ulteriore testimonianza della loro relativa giovane età.
“L’analisi delle immagini e la stima del rateo di crescita delle cavità ci portano a concludere che la loro formazione stia continuando ancora oggi,” ha dichiarato Blewett. “Il vecchio adagio affermava ‘Mercurio è del tutto simile alla Luna’, ma dal suo punto di osservazione privilegiato MESSENGER ci sta dimostrando che Mercurio è radicalmente diverso dalla Luna sotto ogni punto di vista”.
La composizione della superficie di Mercurio e della sua esosfera
Gli scienziati stanno raccogliendo dati sulla composizione chimica della superficie di Mercurio che non si sarebbero potuti ottenere senza la presenza costante di MESSENGER in orbita; tali informazioni sono utilizzate per verificare la bontà dei modelli teorici sulla formazione di Mercurio e per chiarire le dinamiche dell’esosfera del pianeta.
Lo studio della superficie di Mercurio effettuato tramite lo spettrometro a raggi gamma (GRS) di MESSENGER sta rivelando, rispetto alle previsioni, una maggior abbondanza di potassio radioattivo, un elemento moderatamente volatile che si vaporizza a temperature relativamente basse. Insieme allo spettrometro a raggi X (XRS) di MESSENGER sta mostrando che Mercurio ha una composizione superficiale media diversa da quella della Luna e degli altri pianeti rocciosi.
“La misura della percentuale di potassio e torio, un altro elemento radioattivo, insieme all’abbondanza di zolfo rilevata da XRS, indicano che Mercurio ha un corredo di elementi volatili analogo a quelli di Venere, Terra e Marte, e molto più abbondante di quello della Luna,” ha dichairato Patrick Peplowski, un altro degli scienziati che hanno lavorato agli articoli pubblicati da Science.
I nuovi dati in arrivo da MESSENGER hanno invalidato la maggior parte dei modelli teorici elaborati per spiegare l’alta densità del nucleo di Mercurio, che è caratterizzato da una percentuale di metalli ferrosi molto più elevata di quella della Terra, di Venere e di Marte. Nel complesso la composizione superficiale di Mercurio ricorda quella delle meteoriti condritiche ricche di materiali ferrosi, tipiche rimanenze del processo di formazione del Sistema Solare.
MESSENGER ha anche effettuato la prima osservazione di lungo periodo del plasma ionizzato della magnetosfera di Mercurio, studiandone le caratteristiche con lo strumento FIPS (Fast Imaging Plasma Spectrometer) nell’arco di 120 orbite e 65 giorni di attività.
Il team di scienziati di MESSENGER ha scoperto che il sodio è l’elemento ionizzato più abbondante tra quelli provenienti da Mercurio. “In precedenza avevamo rilevato la presenza di sodio neutro (non carico elettricamente ndr) dallo studio del suolo, tuttavia abbiamo poi rilevato particelle di sodio carico in prossimità delle zone polari di Mercurio, dove con ogni probabilità vengono portate dal vento solare che, letteralmente, le soffia via dalla superficie del pianeta”, ha dichiarato Thomas Zurbuchen, ricercatore della University of Michigan e co-autore di uno degli articoli di Science. “Siamo stati in grado di osservare il processo di formazione di questi ioni, analogo a quello che porta al formarsi delle aurore boreali nell’atmosfera terrestre in prossimità dei poli”.
I sensori di FIPS hanno rilevato anche ioni di elio lungo l’intero volume della magnetosfera di Mercurio. “L’elio si genera dall’interazione del vento solare con la superficie del pianeta”, ha proseguito Zurbuchen. “La nostra ipotesi è che l’elio provenga dal Sole, che sia trasportato sulla superficie di Mercurio dal vento solare, e di lì si sparga poi in tutte le direzioni”.
“I risultati raggiunti fino ad oggi mostrano come la debole magnetosfera di Mercurio offra al pianeta una ridottissima protezione dal vento solare”, ha proseguito, “l’estrema potenza dell’attività solare causa continui cambiamenti sulla superficie del pianeta più prossimo al Sole”.
“Queste scoperte mostrano come Mercurio sia un mondo affascinante e senza eguali nel Sistema Solare”, ha aggiunto Blewett, “abbiamo appena iniziato a comprendere le vere caratteristiche di Mercurio e siamo ansiosi di scoprire quali indizi potrà darci per comprendere il processo di formazione dei pianeti del Sistema Solare che oggi conosciamo.”
Ulteriori informazioni sul MESSENGER e sulle scoperte discusse in questo articolo sono reperibili al sito http://messenger.jhuapl.edu
Interessanti articoli scientifici sono stati recentemente presentati al EPSC-DPS Joint Meeting 2011 di Nantes, in Francia, proprio negli scorsi giorni. http://meetingorganizer.copernicus.org/EPSC-DPS2011/poster_program/8295
Fonte: MESSENGER Team / NASA
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