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Approfondimento: Expose-E supporta la teoria della panspermia

Il logo di AstronautiNEWS. credit: Riccardo Rossi/ISAA

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Come si sa, lo spazio è un ambiente ostile per gli esseri viventi, ma sembra proprio che alcuni microorganismi alloggiati sull’esperimento Expose-E collocato all’esterno del laboratorio europeo Columbus, abbiano resistito alla radiazione solare UV, ai raggi cosmici, al vuoto ed agli sbalzi termici orbitali per un periodo di 18 mesi. Addirittura, un particolare tipo di lichene si è adattato alla perfezione nello spazio.

Qui sulla Terra, gli organismi viventi sono stati trovati quasi dappertutto: dai profondi abissi marini alle più alte vette delle montagne. Anche i deserti più aridi e i ghiacciai più freddi possono supportare determinate forme di vita.
Le recenti scoperte effettuate su dei campioni provenienti da un meteorite marziano hanno portato alla luce delle solide prove del fatto che la vita possa essere esistita anche sul Pianeta Rosso, e che addirittura esso possa ospitare ancora adesso degli organismi viventi.

Al fine di studiare le modalità di sopravvivenza degli organismi terrestri nell’ambiente spaziale, l’ESA da oltre 20 anni promuove la ricerca astrobiologica. René Demets, biologo dell’ESA ha spiegato: “Lo scopo è quello di aumentare la nostra conoscenza sull’origine, l’evoluzione, e l’adattamento della vita ed anche di fornire delle basi sperimentali per le future raccomandazioni per la protezione planetaria.”

Expose

La più recente piattaforma sperimentale è stata l’Expose-E, lanciata verso l’International Space Station nel Febbraio del 2008 con lo Space Shuttle Atlantis, e riportata sulla Terra con dallo Space Shuttle Discovery nel Settembre 2009. Per 18 mesi, un totale di 664 campioni biologici e biochimici sono stati esposti allo spazio aperto.

Expose-E è una piattaforma delle dimensioni di una valigetta 24 ore, divisa in due strati di tre vassoi ciascuno contenenti quattro cavità quadrate ognuno. 10 di queste 12 cavità contengono una serie di campioni biologici e biochimici in piccoli compartimenti.
Due dei tre strati sono stati esposti direttamente all’ambiente spaziale, mentre il terzo era stato riempito di gas per simulare la tenue atmosfera marziana composta essenzialmente di biossido di carbonio. Inoltre, il vetro posto a protezione dei “campioni marziani” era dotato di un filtro ottico che imitava lo spettro solare sulla superficie marziana. Sono stati impiegati due strati di vassoi con questi esperimenti per avere un vassoio esposto alla luce solare, e l’altro all’ombra.

Una piattaforma quasi simile, l’Expose-R, è rimasta sull’ISS, dove è stata installata nel Segmento Russo della Stazione.

Meglio stare all’asciutto

I campioni dell’Expose-R sono stati forniti da otto gruppi scientifici internazionali, ed il progetto è  coordinato dal Microgravity User Support Centre (MUSC) presso il German Aerospace Centre (DLR) nell’ambito del Programme for Life and Physical Sciences and Applications using the International Space Station (ELIPS) del Directorate of Human Spaceflight dell’ESA. Adesso, i gruppi di ricerca stanno esaminando i campioni ed hanno già rilasciato alcuni risultati scientifici preliminari.

“Questi licheni denominati Xanthoria elegans hanno volato con l’Expose-E ed attualmente sono i campioni che sono meglio sopravvissuti.” Ha proseguito Demets. Il lichene è una sorta di microorganismo composito macroscopico di un fungo e di un partner fotosintetico, generalmente un alga o un cianobatterio.”
“Essi si trovano nelle zone più estreme della Terra. Quando vengono immessi in un ambiente a loro sgradito, sono in grado di porsi in uno stato di “off-mode” in attesa di migliori condizioni ambientali. Una volta ricollocati in un ambiente adatto e venuti a contatto con dell’acqua, essi riprendono a vivere come prima.”

E’ ovvio che l’elemento chiave è l’acqua: essa è immediatamente evaporata nel vuoto spaziale. Solamente gli organismi anidrobiotici, che sono privi di acqua ed in grado di sostenere lunghi periodi in condizioni estremamente secche, possono sopravvivere nel vuoto dello spazio.
A parte i licheni, solamente pochi animali e piante possono resistere al vuoto: il tardigrade, l’artemia salina, e le larve di un particolare moscerino africano sono gli unici animali conosciuti in grado di sopravvivere allo spazio aperto. Anche i semi essiccati di alcune piante possono sopravvivere.

Un’altra fonte di pericolo per gli organismi viventi esposti all’ambiente spaziale proviene dai ripetuti sbalzi di temperatura e dalle radiazioni. E’ nota la pericolosità estrema delle radiazioni cosmiche. Demets ha ricordato che i raggi cosmici sono altamente energetici e ionizzanti, ma la radiazione più pericolosa per la vita è quella denominata “hard UV”, che infatti sulla Terra viene utilizzata per la sterilizzazione batteriologica.
Nel corso del tempo, durante l’esposizione all’ambiente spaziale, gli effetti delle particelle ad alta energia, dei raggi X e dei raggi gamma assumono una notevole importanza perché essi vanno a distruggere il DNA e causano le mutazioni genetiche.

Organismi viaggiatori?

Il MUSC sta conducendo una simulazione parallela sulla Terra, esponendo campioni simili alle medesime condizioni presenti nello spazio, ad eccezione della microgravità e della radiazione ionizzante. “Questa simulazione durerà come l’intera missione, e solo alla fine avremo i risultati completi,” ha dichiarato Demets. “Non vedo l’ora che arrivi quel momento, perché so già fin da ora che avremo dei risultati interessanti.”

Il fatto che gli organismi viventi possano sopravvivere nello spazio aperto supporta l’idea della panspermia (la diffusione della vita fra un pianeta e l’altro, ed anche fra un sistema solare ed un altro). “La parte mancante di questa teoria riguarda le modalità di ingresso nell’atmosfera e di deposito sulla superficie planetaria degli organismi viventi. Infatti nessun essere vivente può sopravvivere ad un rientro atmosferico dalle quote orbitali.” Ha obiettato Demets. “Probabilmente all’interno di una roccia spaziale le condizioni sono migliori. Per questo motivo, ora, stiamo ideando un esperimento astrobiologico che prevede anche un rientro sulla Terra.”

Fonte: ESA.

Nell’immagine: La piattaforma Expose-E esposta all’ambiente orbitale all’esterno di Columbus. (Credits: ESA)

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