La crescita del nostro Paese passa attraverso l’impegno nello spazio e le eccellenze italiane in questo settore a livello scientifico e industriale vanno salvaguardate, in generale e in ambito europeo, se non vogliamo perdere competitività e diventare subalterni ad altri Paesi Ue ed a nazioni emergenti come India e Cina. Lo sostiene in un’intervista rilasciata a Dedalonews l’on. Silvano Moffa, della consulta di AN per le politiche spaziali e da sempre impegnato nel settore, anche come presidente della provincia di Roma per il varo del Galileo e come sindaco di Colleferro, nel cui territorio si trova Avio; Moffa auspica anche la creazione «da subito» di un referente dello spazio nella presidenza del Consiglio, in vista di una riforma degli enti di ricerca che coinvolgerà anche l’Agenzia spaziale italiana (ASI).
Qual’è la posizione italiana nello spazio?
L’Italia negli ultimi anni ha conquistato un grande prestigio nello spazio e questo lo si deve ad una serie di successi conseguiti dalle missioni italiane e da quelle europee partecipate dall’Italia. Solo nel 2007 l’Italia ha lanciato tre satelliti, due dei quali per l’osservazione della Terra assieme alla Difesa e nel 2009 sarà effettuato il primo lancio del Vega, realizzato per il 60% dall’industria nazionale. Questo significa che in questo settore abbiamo oggi una punta di eccellenza che si completa in una gamma di tecnologie molto avanzate e ricadute importanti in termini applicativi, dalle telecomunicazioni alla telemedicina, dall’osservazione della terra, ai moduli abitati.
I fattori di successo sono stati almeno tre: negli ultimi anni abbiamo adottato una pianificazione delle attività attraverso i cosiddetti piani nazionali che prevedevano finanziamenti molto mirati; questo ci ha portato ad avere una certa continuità e finanziamenti adeguati alle missioni e attività da portare avanti. Altro fattore positivo è stata l’Agenzia spaziale italiana, che ha svolto un ruolo gestionale molto importante: oggi l’Italia è al secondo posto in Europa per volume di fatturato spaziale industriale in rapporto al PIL, con circa 6.000 addetti diretti, mentre la Francia va verso una contrazione, tanto che in alcuni settori siamo quasi ai livelli francesi.
Vista la situazione, cosa deve proporsi il nostro Paese in vista della conferenza ministeriale dell’Aia a novembre prossimo?
La ministeriale sarà il luogo deputato a definire le nuove strategie spaziali europee. Lo dobbiamo cogliere come una grande opportunità, tanto più che toccherà a noi presiederlo. A l’Aja verranno decise le strategie spaziali europee del prossimo decennio e tra l’altro dovremmo avere una riformulazione della visione strategica alla luce dei fattori competitivi e delle novità emerse nel campo spaziale. Pensiamo in particolare alla Cina e all’India e ad un certo rallentamento, quasi uno stand-by degli Stati Uniti in attesa delle presidenziali. Quindi il ruolo dell’Europa, che si andrà a definire all’Aia, sarà estremamente importante perché dovrà valutare questi fattori internazionali e il ruolo guida dei paesi spaziali europei primari, cioè Francia, Italia e Germania, che sono quelli davvero in possesso dell’industria spaziale e possono svolgere il ruolo di traino nell’Ue a fronte anche dei nuovi appuntamenti, quali lo scudo spaziale, Galileo, la piattaforma europea, l’esplorazione di Marte. Infine, l’ingresso di nuovi membri nell’Ue comporta una rivisitazione delle politiche strategiche nel campo spaziale anche in funzione della competizione con Paesi come Cina e l’India.
In parole povere a l’Aia dovremo definire quale sarà la nuova governance europea in campo spaziale.
Sono prevedibili attriti con la Francia…
La Francia ha chiesto all’Agenzia spaziale europea di eliminare il criterio finora in uso del giusto ritorno, in base al quale ogni paese vede assegnare alle proprie industrie commesse commisurate alla quota versata; in questo modo la Francia punta ad inglobare in un unico fondo le contribuzioni dei vari stati e poi distribuirli secondo standard che non tengano conto del ritorno garantito, che invece ha effetti molto positivi sull’industria nazionale. Quindi noi dovremo contrastare questo tentativo, molto centrato sul ruolo della Francia e delle sue industrie.
Questo implica anche una modifica delle politiche all’interno dell’ASI, perché è evidente che negli ultimi tempi ci siamo impegnati più sul versante della ricerca che in quello della ricerca applicata in campo industriale. In effetti, l’ASI era nato proprio per promuovere in campo spaziale l’attività delle nostre industrie. Se noi invece ci dedichiamo solo a finanziare la ricerca di base senza pensare anche all’industria, rischiamo di essere spazzati via dalla capacità competitive di altri paesi, europei ed emergenti. Di qui nascono le perplessità che si collegano anche agli ultimi movimenti che si sono registrati a livello di ESA, come pure non è apparso per nulla positivo che nel piano triennale delle attività 2008-2010 sia dato risalto a programmi di esplorazione di Marte, mentre non è stata assicurata una copertura finanziaria per il programma Cosmo SkyMed, che è tra l’altro il più importante progetto duale di osservazione radar al mondo, anche considerando che in questi giorni l’osservazione dallo spazio del terremoto in Cina sta avvenendo attraverso questa costellazione, a testimonianza dell’importanza strategica di questi progetti. Non finanziare adeguatamente Cosmo SkyMed significa anche mettere in difficoltà lo Stato Maggiore della Difesa, perché siamo chiamati a sottoscrive entro quest’anno l’accordo Francia-Germania-Italia per avviare un altro importante progetto, il MUSIS. Questo è un programma collegato alla seconda generazione del Cosmo SkyMed e se togliamo dal bilancio dell’ASI continuità di finanziamento a Cosmo-SkyMed non avremo neanche una partecipazione al MUSIS: sono errori che rischiano di penalizzare fortemente il nostro Paese. Ci dovremmo invece concentrare di più su quello che di eccellente la nostra industria in questo momento può realizzare.
Le perplessità riguardo i movimenti in ESA. Vogliamo cercare di chiarire serenamente cosa ha creato malumori?
È suonata un po’ distonica la scelta di non difendere la nostra responsabilità nella direzione di navigazione, affidata a suo tempo a Viriglio, perché un impegno in quel senso avrebbe significato invece assicurare continuità ed equilibrio politico nel programma Galileo, un programma da tre miliardi di investimenti, che sono investimenti industriali, a fronte di una primaria partecipazione italiana nei programmai applicativi dell’ESA. Pur essendo assolutamente felice che una italiana sia ora alla guida del programma manned, l’avere optato per l’esplorazione umana che non è un settore strategico ha significato a mio avviso fare un grande favore alla Francia e mettere l’Italia in una situazione di subalternità, perché il nostro vantaggio è stare sulla navigazione e sui programmi che hanno ricadute sulla nostra industria e mantenere il nostro primato in quel settore. Si poteva legittimamente lottare per continuare ad avere un ruolo nel Galileo e anche il direttorato al manned.
Come pensa che si muoverà in generale questo governo in relazione alle attività, alle istituzioni e alle politiche spaziali?
Credo che il nostro Paese abbia sofferto in questi anni di una scarsa attenzione, a livello strategico, alle applicazioni che possono venire dallo spazio. Dobbiamo fare in modo di fare cultura dello spazio, anche a livello di opinione pubblica. Ecco perché ritengo assolutamente essenziale che ci sia quanto prima un referente diretto per lo spazio nella Presidenza del Consiglio, anche perché o capiamo tutti che se l’Italia scende nella classifica della competitività con gli altri Paesi lo si deve al fatto che non riusciamo a interagire in maniera sistemica tra ricerca scientifica e applicativa e capacità delle nostre industrie di muoversi con grande celerità nel settore dell’innovazione o perdiamo il treno. Questo passa attraverso i programmi richiamati prima: telemedicina, osservazione della Terra, telecomunicazioni, Galileo, tutti progetti sui quali si gioca la capacità di crescita del nostro Paese.
Ciò significa anche impegnarsi in un riordino complessivo degli enti di ricerca e dell’ASI. C’è una delega ancora attiva, varata nel 2007, che dovrebbe essere esercitata per assestare meglio la governance dell’ASI, ma anche per rendere fortemente in linea l’Agenzia con le strategie europee che emergeranno all’Aia. Possiamo essere in grado, e sarebbe un grande vantaggio, farlo già all’indomani della ministeriale. È ovvio che il ruolo del governo sarà assolutamente essenziale. Ecco perché penso che incardinare lo spazio nella Presidenza del Consiglio renderebbe il tutto più spedito e nello stesso tempo avrebbe un impatto comunicativo molto più forte. Ma non abbiamo tempo da perdere.
Fonte: dedalonews.it