Mentre la sonda della NASA Messanger ha effettuato il suo primo passaggio ravvicinato di Mercurio, l’ESA sta preparando la missione BepiColombo, la prima missione europea per lo studio di questo pianeta.
Perché il risvegliarsi di improvviso interesse per Mercurio?
Mercurio è uno dei pianeti del Sistema Solare meno noti. Dall’inizio dell’esplorazione planetaria, solo la sonda Mariner 10 della NASA, oltre trenta anni fa, ha effettuato passaggi ravvicinati di Mercurio, due volte nel 1974 e una volta l’anno successivo. Fu un risultato storico, anche perché era la prima volta che una navicella spaziale utilizzava l’assist gravitazionale di un pianeta, in quel caso Venere, per riceverne la spinta sufficiente a raggiungerne un altro.
Fra l’altro fu proprio lo scienziato italiano Giuseppe “Bepi” Colombo, dal quale prende il nome la missione europea, a suggerire alla NASA come usare correttamente l’assist gravitazionale di Venere in modo da spingere la Mariner 10 in un’orbita che incrociasse Mercurio per ben tre volte nel giro di 20 mesi.
Nonostante di Mercurio si sappia ben poco (solo circa il 46% della superficie di Mercurio è stata osservata direttamente, sia grazie alla Mariner 10 che alle osservazioni condotte da Terra), il pianeta presenta molti motivi di interesse. Innanzi tutto perché fa parte di una famiglia omogenea di pianeti rocciosi, con Venere, la Terra e Marte. Comprenderne le caratteristiche ci darà indicazioni sulla formazione del Sistema Solare.
La speranza è di identificare il meccanismo di formazione planetaria intorno a una stella, in modo da capire meglio se la formazione di un sistema di pianeti sia peculiare, e che dunque la Terra occupa un posto del tutto particolare nell’universo, oppure – come crede la maggior parte degli scienziati – i l sistema solare è solo uno dei tanti angoli di universo che si assomigliano. O detto in altri termini, se la formazione di un sistema planetario sia o meno un fenomeno universale.
Quali sono le caratteristiche della missione?
La Bepi-Colombo sarà costituita da due sonde spaziali, che si trasferiranno su Mercurio in un unico blocco connesso al modulo di trasferimento e si separeranno un volta arrivate in prossimita’di Mercurio.
Le due componenti della missione sono il Mercury Planetary Orbiter (MPO), realizzato dall’ESA, che trasporta ben 11 strumenti scientifici e che ha il compito primario di indagare la superficie e l’interno del pianeta dallo spazio e il Mercury Magnetospheric Orbiter (MMO), che sarà invece realizzata dalla Agenzia spaziale Giapponese (JAXA) con compito di studiare nel dettaglio il campo magnetico del pianeta.
Le due navicelle saranno lanciate con un solo razzo-vettore, un Sojuz-Fregat, dalla base spaziale dell’ESA a Kourou, nella Guaina Francese. Dopo il lancio, attualmente previsto per l’agosto 2013, ne occorreranno altri sei prima che la BepiColombo si inserisca in orbita intorno a Mercurio.
In questi giorni, fra l’altro, è ufficialmente iniziato lo sviluppo industriale della missione, con la firma del contratto tra ESA e Astrium, che sarà la responsabile della cordata di industrie fra le quali anche l’italiana Galileo Avionica. Il cammino industriale durerà poco più di cinque anni.
È interessante sottolineare come la BepiColombo abbia un grande respiro internazionale, per via della stretta collaborazione tra l’ESA e l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA).
Mercurio è relativamente vicino alla Terra. Perché dunque spedire una sonda alla volta di Mercurio è ritenuta una grande sfida tecnologica?
Le ragioni per le quali questa missione è una sfida tecnologica sono molte. In primo luogo è una sonda diretta verso l’interno del sistema solare.
Questo significa che man mano che si avvicina a Mercurio, si avvicinerà anche al Sole. La forza di gravità del Sole alla distanza di Mercurio è circa nove volte quella esercitata a una distanza pari alla distanza media Terra-Sole. Per inserirsi in orbita intorno a Mercurio, la sonda sarà costretta a usare la maggior parte del propellente di cui dispone per opporsi all’attrazione del Sole. Insomma, sarà necessario “frenare”. E questo rende la missione assai dispendiosa dal punte di vista energetico.
La risposta messa a punto in questi anni, anche sulla base degli studi di Giuseppe Colombo, è stata la messa a punto di una missione che utilizzi numerosi assist gravitazionali. BepiColombo sfrutterà infatti la gravità della Luna, della Terra, di Venere e dello stesso Mercurio.
Durante il tragitto, il modulo di trasferimento utilizzerà la propulsione elettrico-solare (solar-electric propulsion, SEP), simile a quella che è stata sperimentata negli anni trascorsi, dalla sonda dimostrativa SMART-1 dell’ESA, che ha condotto ottimi studi sulla superficie lunare.
Ancora: la Bepi-Colombo sarà esposta a enormi escursioni termiche. Si pensi che la parte della navicella esposta al sole puo’ raggiungere temperature di circa 300°, mentre all’interno della sonda gli strumenti dovranno lavorare a una temperatura che va dagli 0° ai 40°. E un problema di protezione e isolamento riguarda anche la pioggia intensissima di radiazioni solari che possono danneggiare le componenti elettroniche fondamentali.
Torniamo a Mercurio. Fra le poche cose che sappiamo, c’è il fatto che Mercurio sembra avere un nucleo metallico particolarmente ricco. C’è la possibilità di sfruttare queste risorse?
Naturalmente no, di certo non in un futuro ragionevolmente vicino! Tuttavia è vero che il nucleo di Mercurio sembra dover essere molto più esteso in volume di quello della Terra e molto ricco di materiali ferrosi. Più che per sfruttamento, questo elemento è di particolare interesse perché pone un problema relativo alla formazione del pianeta.
Probabilmente siamo di fronte a un corpo che non è nato delle dimensioni con le quali lo osserviamo oggi, ma che ha subito un impatto tremendo nelle prime fasi delle sua esistenza, tanto da strappargli gran parte degli strati esterni, lasciandolo con un nucleo molto esteso ricoperto da una crosta e un mantello assai più “leggeri”.
È un problema scientifico interessante: un fenomeno simile riteniamo sia alla base della formazione della nostra Luna. Secondo la teoria più accreditata al riguardo, infatti, il nostro satellite avrebbe avuto origine dall’impatto con una neonata Terra di un corpo delle dimensioni di Marte, che avrebbe staccato una frazione consistente del nostro pianeta, facendone – per la fortuna delle nostre notti – Luna.
Fonte: ESA