Il Falcon Heavy porta in orbita GOES-U

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Il decollo del Falcon Heavy dal Kennedy Space Center. Credits: NASA/Cory S Huston

Nella notte del 25 giugno 2024, alle 23:26 italiane, un Falcon Heavy di SpaceX è decollato dal Launch Complex 39A del Kennedy Space Center, in Florida (Stati Uniti d’America) con a bordo il satellite GOES-U, frutto dello sforzo combinato della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) e dell’agenzia spaziale statunitense (NASA).

Si è trattato del decimo volo complessivo di un Falcon Heavy, e il primo nell’ambito della costellazione GOES della NOAA, l’ente statunitense preposto allo studio dell’atmosfera e degli oceani della Terra. Il Falcon Heavy ha volato nella oramai consolidata configuazione ibrida ed era composto tra tre booster nuovi: il core centrale, B1087, era in modalità expendable, ovvero senza le grid fin e le landing leg indispensabili per il recupero, e dai booster laterali B1072 e B1086, che sono invece ritornati rispettivamente sulla Landing Zone 1 e 2.

Il lancio doveva avvenire originariamente ad aprile, ma a febbraio, durante i controlli di routine effettuati sui booster appena prodotti, era stata individuata una perdita di ossigeno. Conseguentemente la data di lancio era stata spostata da aprile a maggio per consentire ai tecnici di completare le riparazioni sul booster ed eseguire nuovamente i test. La data era slittata poi ulteriormente a giugno.

Il lancio si è svolto comunque senza alcun problema: come già detto, i due core laterali sono stati recuperati, così come probabilmente le ogive, e il satellite è stato rilasciato correttamente.

Lo stadio superiore del Falcon Heavy ha effettuato due accensioni del proprio motore Merlin per immettere GOES-U in un’orbita di trasferimento verso quella geostazionaria. L’arrivo a destinazione è previsto fra circa due settimane, alle quali ne seguiranno altre per la validazione e calibrazione dei dati inviati dal satellite.

Una volta che avrà raggiunto la destinazione finale e avrà completato tutti i test necessari per essere dichiarato come operativo, GOES-U studierà contemporaneamente il meteo spaziale e osserverà gli oceani e l’atmosfera terrestre. Tra i vari materiali condivisi dal NOAA è possibile vedere che gli ambiti principali di cui GOES-U si occuperà sono l’osservazione nel visibile e nell’infrarosso, la mappatura dei fulmini e del Sole, il monitoraggio del meteo spaziale. Andando più nello specifico, gli obiettivi spaziano dall’individuazione e caratterizzazione di incendi a quella di temporali e tornado potenzialmente dannosi e dei fulmini associati e in grado di appiccare degli incendi. Ma ci sono anche il monitoraggio delle particelle di smog, fumo e aerosol, dello stato di salute della vegetazione e l’individuazione di eruzioni vulcaniche. Dal lato spaziale, invece, GOES-U potrà individuare flare solari e le regioni in cui avvengono le espulsioni di massa coronale del Sole, caratterizzandone direzione, velocità, densità e dimensione, ma anche individuare pericoli derivanti dall’arrivo di particelle energetiche cariche, in grado di causare rischi derivanti dalle radiazioni.

La costellazione è ora composta da quattro satelliti complessivamente, la cui operatività è prevista per tutto il decennio del 2030. I primi tre satelliti sono stati lanciati con un Atlas V 541 di United Launch Alliance, anche se storicamente tutta la famiglia di satelliti GOES è stata con vettori di classe Delta o Atlas.

Una volta raggiunta l’orbita, GOES-East opererà in tandem con GOES-West, e coprirà gli Stati Uniti continentali, il Messico, il Centro e il Sud America, ma anche i Caraibi, l’Oceano Atlantico e la costa ovest dell’Africa.

Il satellite è frutto della collaborazione tra la NOAA e l’agenzia spaziale statunitense (NASA): la prima elargisce i fondi, gestisce il programma, manovra il satellite e distribuisce i dati nel mondo, mentre la seconda, con il supporto di aziende commerciali, sviluppa e costruisce fisicamente il satellite e gli strumenti, oltre a gestire il lancio.

Il satellite

GOES-U ha un’architettura simile a quella degli altri satelliti della famiglia GOES: è stabilizzato su tre assi e ha una vita operativa prevista di 10 anni, dimensioni di 6 m × 5,6 m × 3,90 m, una massa a secco di circa 2,9 tonnellate e di 5 tonnellate pienamente rifornito. Ha a disposizione sette strumenti.

Il satellite dispone di sette strumenti: due per monitorare il meteo e i fenomeni ambientali sulla Terra, e cinque dedicati al Sole e al meteo spaziale: l’Advanced Baseline Imager (ABI) è lo strumento principale per osservare il meteo, gli oceani e l’ambiente della Terra, mentre il Geostationary Lightning Mapper (GLM) studierà i fulmini nelle formazioni temporalesche in formazione. Si tratterà del primo strumento in grado di mappare i fulmini utilizzato in orbita geostazionaria: non sarà però il primo, in quanto uno strumento simile è stato installato a bordo di Meteosat Third Generation Imager (MTG-I1), lanciato nel dicembre 2022.

Per lo studio del meteo spaziale e del sole invece GOES-U utilzzerà il Solar Ultraviolet Imager (SUVI) e l’Extreme Ultraviolet and X-ray Irradiance Sensors (EXIS), in grado di fotografare il Sole e individuare i flare prodotti. Il Compact Coronagraph-1 (CCOR-1) osserverà invece la corona solare, ovvero lo strato più esterno dell’atmosfera del Sole) per individuare e caratterizzare le espulsioni di massa coronale (CME, Coronal Mass Ejection): si tratta di un nuovo strumento, non montato sopra ai precedenti tre satelliti della serie GOES. Infine, la Space Environment In-Situ Suite (SEISS) e il magnetometro monitoreranno rispeettivamente le particelle energetiche e le variazioni del campo magnetico generalmente associate al cosiddetto space weather, il meteo spaziale.

Compact Coronagraph-1 (CCOR-1)

L’unico strumento non presente sugli altri satelliti della famiglia GOES, è stato sviluppato dal Naval Research Laboratory ed è installato sulla Solar Pointing Platform (SPP), assieme al Solar Ultraviolet Imager (SUVI) e all’Extreme Ultraviolet and X-ray Irradiance Sensors (EXIS). Come tutti i coronografi, avrà lo scopo di studiare la corona solare, lo strato esterno dell’atmosfera del Sole, bloccando la luce proveniente dal Sole stesso: l’obiettivo sarà fotografare la corona, individuando e caratterizzando le espulsioni di massa coronale (CME, Coronal Mass Ejection), responsabili delle tempeste geomagnetiche che possono avere impatto sulle telecomunicazioni e gli apparati elettronici dei satelliti.

Attualmente le CME vengono osservate dallo strumento LASCO (Large Angle and Spectrometric Coronagraph) montato a bordo del satellite SOHO (Solar and Heliospheric Observatory), che invia immagini entro 8 ore dall’acquisizione. CCOR-1 diminuirà drasticamente questa attesa, inviandole entro 30 minuti, catturando almeno due immagini per ogni espulsione coronale.

Advanced Baseline Imager (ABI)

Si tratta dello strumento principale – produrrà oltre il 65% dei dati complessivi – il cui scopo è quello di scattare fotografie agli oceani, all’ambiente e osservare il meteo in 16 diverse bande spettrali: due nel visibile, quattro nel vicino infrarosso e dieci nell’infrarosso. Rispetto alla generazione precedente questo strumento porta un deciso miglioramento: il triplo delle bande osservate, quattro volte la risoluzione spaziale e una copertura temporale cinque volte più veloce.

Si tratta, tecnicamente parlando, di un imager radiometrico passivo e multicanale, dotato di diverse modalità operative, in grado di produrre un’immagine completa dell’emisfero osservato con frequenze diverse e fornendo immagini aggiuntive. Il design di ABI per GOES-U è stato pensato anche dopo l’incidente occorso a quello montato su GOES-17, in cui un problema al sistema di raffreddamento impediva un corretto mantenimento della temperatura in determinate condizioni orbitali.

Con ABI è possibile tracciare e monitorare la formazione delle nuvole, i movimenti in atmosfera, la temperatura superficiale del terreno, le dinamiche degli oceani, oltre a tanti altri parametri come la qualità dell’aria e la presenza di ceneri vulcaniche e aerosol.

Extreme ultraviolet and X-ray Irradiance Sensors (EXIS)

Con EXIS verrà monitorata l’irradianza solare nell’alta atmosfera, ovvero la potenza della radiazione elettromagnetica del Sole per unità di area. Con EXIS sarà possibile individuare i flare solari in grado di interrompere le comunicazioni con i satelliti e ridurre la precisione nel sistema di posizionamento a Terra. EXIS è montato sulla Sun-Pointig Platform e a bordo sono installati due sensori: l’Extreme Ultraviolet Sensor (EUVS) e l’X-Ray Sensor (XRS).

Magnetometro (MAG)

Come dice il nome stesso, il magnetometro misurerà il campo magnetico nella regione superiore della magnetosfera terrestre: è la regione di spazio permeata dal campo magnetico terrestre che si estende fino a circa 60.000 km nel lato rivolto il Sole, con una coda (magnetotail) molto più estesa dal lato opposto.

Geostationary Lightning Mapper (GLM)

GLM è uno strumento in grado di misurare il numero totale di fulmini, quelli all’interno delle nuvole, quelli tra due nuvole diverse e quelli che giungono al suolo, con una risoluzione spaziale di circa 10 km. Svolgerà quindi un lavoro simile al Lightning Imager montato a bordo di MTG-I1 (e i successivi satelliti MTG), che osserva però i continenti europeo e africano; GOES-U stazionerà invece sopra l’America. Lo studio di frequenza, posizione e dimensione dei fulmini potrà fornire informazioni per identificare temporali in formazione e cicloni tropicali.

Solar Ultraviolet Imager (SUVI)

Si tratta di un telescopio che monitora il Sole nell’estremo ultravioletto, catturando immagini del disco solare completo, osservando e caratterizzando le regioni attive del Sole stesso, i flare solari e le eruzioni di dei filamenti solari, che potrebbero dare origine alle CME. I dati prodotti da SUVI permetteranno di stimare la temperatura del plasma coronale ed effettuare delle misure sulle emissioni solari.

Sarà posizionato sulla Sun-Pointing Platform (SPP) e sostituirà lo strumento Solar X-ray Imager (SXI), montato sugli altri satelliti GOES, che copriva bande spettrali diverse e aveva una risoluzione inferiore.

Space Environment In-Situ Suite (SEISS)

Come dice il nome, si tratta di una suite di quattro sensori che monitorano il flusso di protoni, elettroni e ioni pesanti nella magnetosfera. I dati forniti da SEISS saranno fondamentali per stimare il rischio di scariche elettrostatiche e la dose di radiazioni che gli astronauti sperimenterebbero. I quattro strumenti sono:

  • Energetic Heavy Ion Sensor (EHIS): misurerà il flusso di ioni pesanti nella magnetosfera per fornire un quadro completo delle particelle energetiche attorno alla Terra, incluse quelle intrappolate nella magnetosfera, quelle in arrivo direttamente dal Sole e quelle dei raggi cosmici.
  • Magnetospheric Particle Sensors – HIgh: come dice il nome, monitorerà elettroni e protoni a media e alta energia. Si tratta di particelle in grado di danneggiare l’elettronica dei satelliti, causando danni in grado di accorciare la vita operativa degli stessi.
  • Magnetospheric Particle Sensors – LOw: misurerà il flusso di elettroni e protoni nel range da 30 eV e 30 keV, che allo stesso modo delle particelle a maggior energia possono causare problemi all’elettronica dei satelliti in orbita.
  • Solar and Galactic Proton Sensor (SGPS): misurerà i protoni di origine solare e galattica che si trovano nella magnetosfera terrestre, che possono causare blackout radio nelle comunicazioni vicino ai poli terrestri e quindi ai voli commerciali che vi passano vicini.

Fonti: NASA, sito della missione, astronautiNEWS.it

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Matteo Deguidi

Studio Astrophysics and Cosmology a Padova e qui provo a raccontare quello che succede nel mondo dell'astronautica mondiale, concentrandomi su missioni scientifiche in corso o in fase di sviluppo, con qualche spruzzata di astronomia.