SpaceX: il prezzo di un lanciatore usato e i ritardi del Falcon Heavy
La riusabilità del lanciatore Falcon 9 è stata al centro dell’intervento che la presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, ha tenuto lo scorso 9 marzo a National Harbor (Maryland), nell’ambito della conferenza Satellite 2016. Non solo, infatti, la Shotwell ha ribadito l’intenzione di fare volare un primo stadio recuperato nel corso di quest’anno, ma si è persino avventurata in una stima di quanto potrebbe risparmiare il cliente che accettasse di servirsi di un lanciatore usato.
SES sarà la prima ad acquistare un Falcon 9 usato?
Stando alle pubbliche dichiarazioni, un partner disposto a correre il rischio di fare volare un proprio payload con uno stadio “di seconda mano” c’è già e si tratta di uno dei principali finanziatori di SpaceX, la lussemburghese SES; ma non pare ci sia ancora un accordo sul prezzo. Proprio nel corso di Satellite 2016, Karim Michel Sabbagh, Chief Executive di SES, ha affermato che vedrebbe adeguato uno sconto del 50% sul costo del totale lanciatore, che ammonta 60 milioni di dollari.
La stima della Shotwell risulta più prudente. Considerato che, per il momento, il recupero del secondo stadio non è in questione (ma non è escluso: “forse troveremo un buon modo per farlo” – ha aggiunto) e calcolando che il costo del carburante si aggira sul milione di dollari, mentre le spese per rimettere in opera il primo stadio sono tre volte tanto, dovrebbe essere possibile un risparmio del 30%. Il Falcon 9 con il primo stadio usato costerebbe quindi attorno ai 40 milioni.
Ricondizionare non è la strada giusta
La presidente di SpaceX ha tenuto a precisare che la chiave della riusabilità non è trovare un modo pratico ed economicamente sostenibile per ripristinare il lanciatore, ripararlo e rimetterlo in condizioni di volare.
“Non si può prendere un razzo che non è stato progettato per essere riutilizzabile e trasformarlo in un razzo riutilizzabile: si andrebbe incontro a un disastro. L’industria aeronautica non deve ricondizionare i propri aerei dopo ogni volo.” Si tratta “di progettare un sistema che non sia necessario ripristinare”. A qualcuno sembra più sicuro salire su un areo che ha già volato qualche volta, – ha aggiunto scherzando – “speriamo che anche i nostri clienti preferiscano volare la terza o la quarta volta.”
Sottinteso a queste affermazioni è che il Falcon 9 sia nativamente costruito per essere riutilizzato e non necessiti di essere ricondizionato dopo ogni lancio. A questo proposito la Shotwell ha raccontato di aver visto l’unico stadio finora recuperato e di essere rimasta stupita dei limitatissimi segni di usura che, “sotto il cofano”, i motori, i cablaggi e gli altri dispositivi presentavano. “È stato straordinario vedere quanto era in perfette condizioni – ha detto –. In realtà non abbiamo dovuto ripristinare nulla. Abbiamo completato i controlli e poi, dopo tre giorni, lo abbiamo rimesso sulla piattaforma di lancio e riacceso.”
Il nodo della frequenza dei lanci
Per poter offrirne il riutilizzo dei primi stadi ai propri clienti SpaceX dovrà anzitutto disporne. Sarà perciò fondamentale la frequenza dei lanci, anche perché non sempre il recupero è concretamente possibile, nemmeno con l’impiego del drone galleggiante, come ha dimostrato il recente caso di SES-9. L’azienda californiana stima di poter recuperare il 75-80 per cento dei primi stadi nelle missioni in orbita bassa e il 50-60 per cento per quelle che prevedono un orbita di trasferimento geostazionaria.
Con ciò si tocca la questione più problematica con cui SpaceX deve fare i conti, ossia il rispetto dei tempi del proprio programma di lanci. La Shotwell, anche in questa occasione, ha riproposto i messaggi rassicuranti già espressi in passato, affermando che dopo la messa a punto del nuovo Falcon 9 versione 1.2, già lanciato due volte con successo, non sono previsti altri aggiornamenti di rilievo per i prossimi mesi e che sarà perciò più facile accelerare la cadenza dei voli. Le difficoltà emerse con l’uso dell’ossigeno superfreddo durante i tentativi di decollo di SES-9 hanno dato l’impressione che il nuovo veicolo sia di più complessa preparazione e più facilmente soggetto agli scrub, ma si è trattato, secondo la Shotwell, di problemi legati ai sistemi di terra, che ora sono del tutto superati. Su queste basi si progetta di arrivare a 18 voli nel 2016 e oltre 24 nell’anno successivo.
I ritardi del Falcon Heavy. Clienti in fuga?
Gli obiettivi di SpaceX sono, al solito, piuttosto ambiziosi, considerando che per garantire il numero di lanci previsti per quest’anno sarà indispensabile effettuarne poco meno di 2 al mese. Non è fuori luogo essere perplessi riguardo alla effettiva possibilità di mantenere questi ritmi, anche perché qualche dubbio comincia ad essere manifestato dagli stessi clienti di SpaceX.
I segnali di sfiducia vengono soprattutto da coloro che hanno prenotato un volo sul lanciatore pesante Falcon Heavy, la cui entrata in servizio continua ad essere posticipata. All’inizio del 2016 si parlava di tarda primavera, a febbraio la Shotwell l’aveva ipotizzata a settembre, mentre ora, dalla stessa fonte, vene indicata per novembre.
Qualche settimana fa ViaSat ha deciso rinunciare a servirsi del lanciatore pesante di SpaceX per la messa in orbita del satellite ViaSat-2, preferendo di sostenere i costi più elevati di Ariane 5 in cambio di una data certa. E’ di questi giorni la notizia che un altro cliente di SpaceX, la britannica Inmarsat, nel timore che ritardi del Falcon Heavy possano danneggiare i propri piani di sviluppo, si è rivolta a ILS per prenotare un’opzione di lancio su Proton del satellite Europasat/Hellas-sat 3. realizzato in partnership con Arabsat.
Questi due episodi non consentono certo di affermare che sia in atto una fuga generalizzata di clienti e che sull’azienda di Hawthorne si allunghino ombre di crisi, anche perché nei medesimi giorni sono state diffuse informazioni sul perfezionamento di nuovi contratti.
Iridium Communications, che non è riuscita a ricevere dalle autorità russe l’autorizzazione al lancio sul vettore Dnepr dei primi due elementi di una costellazione di 72 satelliti (probabilmente per difficoltà legate alla crisi tra Russia e Ucraina), ha scelto di affidarsi totalmente al Falcon 9, ottenendo da SpaceX l’anticipazione a luglio del primo di ben dieci voli. L’operatore satellitare canadese Telesat utilizzerà lo stesso veicolo per lanciare nei primi mesi del 2018 i suoi nuovi satelliti, Telstar 18 Vantage e Telstar 19 Vantage, destinati a fornire servizi di comunicazione rispettivamente su Asia orientale/Oceania e sulle Americhe.
A ciò si devono aggiungere le prospettive di appalto che si sono aperte dopo il superamento del conflitto legale con l’Aeronautica statunitense all’inizio dello scorso anno. A margine del suo intervento a Satellite 2016, Gwynne Shotwell ha sottolineato che ora esiste “una grande collaborazione con USAF”: per le prossime settimane si attende l’esito di una gara nell’ambito del programma EELV.
Infine, anche se non è stato ancora annunciato ufficialmente, si è recentemente appreso che lo scorso dicembre la NASA ha assegnato a SpaceX altri cinque voli di rifornimento del cargo Dragon alla Stazione Spaziale Internazionale, per un valore che stima di circa 700 milioni di dollari. Si tratta di un’estensione del contratto Commercial Resupply Services (CRS) siglato nel 2008 e valido fino al 2019, che in origine prevedeva 12 missioni, ma è stato successivamente ampliato, fino ad un totale di 20, inclusa l’ultima assegnazione. L’altra compagnia che effettua servizi di rifornimento, Orbital ATK, non ha ricevuto un’estensione equivalente; il suo contratto è fermo a 10 viaggi.
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