Dream Chaser: il punto della situazione
La Sierra Nevada Corporation (SNC) ha fornito una valutazione positiva dello stato di sviluppo del proprio veicolo Dream Chaser che, nell’ambito del più ampio programma Commercial Crew Development, dovrebbe consentire il lancio di equipaggi entro il 2016.
La piccola navetta, che nel cuore di molti appassionati ha raccolto la pesante eredità dello space shuttle, verrà lanciata da un vettore Atlas V, grazie all’intesa sottoscritta nel 2007 con United Launch Alliance. Si tratta di un velivolo di tipo “lifting body”, riutilizzabile, e che fa ampio uso di esperienze e studi anche abbastanza remoti nel tempo, quali lo spazioplano HL-20, un concept Nasa degli anni ottanta, nonchè l’X24A, l’HL-10 e addirittura il progetto russo BOR-4.
Per il rientro si prevede un atterraggio su pista, contrariamente a quanto ora ipotizzato per le capsule concorrenti, la Dragon di SpaceX e la CST-100 di Boeing.
Il completamento della fase due del programma CCDev prevede complessivamente 19 tappe fondamentali, l’ultima delle quali sarà un test di volo libero pilotato dopo il trasferimento in quota tramite aereo di supporto.
Il sito di divulgazione nasaspaceflight.com ha raccolto le dichiarazioni rilasciate nel corso della settimana da Merri J Sanchez, di SNC, nell’ambito della riunione AIAA (American Institute of Aeronautics and Astronautics) che si svolge in Colorado.
Il Dr. Sanchez ha sottolineato come Dream Chaser goda di un carico di rientro particolarmente basso, meno di un g e mezzo, con ampie capacità di discostarsi perpendicolarmente dalla traiettoria di rientro (“cross range ability”, uno dei punti critici per lo shuttle) e possibilità di ritorno al sito di lancio (ritorno alla pista).
I motori sono ibridi a propellente non tossico (HTPB, N2O), sviluppati internamente, mentre i propulsori di assetto RCS usano N2O e etanolo. In orbita, l’energia verrà fornita da batterie, ricaricabili dall’ISS. I motori hanno già sostenuto svariate prove, tra cui tre test in un solo giorno con una accensione nel vuoto, mentre lo scorso dicembre è stato realizzato il primo prototipo del velivolo vero e proprio, interamente in compositi, che verrà usato nel test di volo libero.
Il Dottor Sanchez ha rivelato nuovi particolari sulle fasi dei test a venire; ad esempio, anche per il primo lancio senza equipaggio è previsto l’atterraggio orizzontale. Dream Chaser sarà in grado di sostenere missioni con durata sino a 210 giorni, se attraccato alla stazione spaziale, e rimarrà sempre pronto all’uso per l’equipaggio. Per gli scenari di abort, il veicolo permette l’abbandono con lancio paracadutato (da considerarsi una soluzione estrema); il rientro su una pista di atterraggio rimane lo scenario di elezione anche in situazioni di abort. Per la simulazione dell’abort sulla rampa verranno impiegati motori ibridi dimensionati appositamente per questo tipo di emergenza. Lanci e rientri avverranno in Florida (ma in linea di principio andrebbe bene un qualsiasi aeroporto commerciale per l’atterraggio), e l’equipaggio abbandonerà la navetta da un portello posto a poppa. La velocità di atterraggio dovrebbe essere di circa 190 nodi (circa 350 km/h, più o meno come lo shuttle), e il calore sviluppato dall’impatto con l’atmosfera verrà dissipato da un sistema di protezione termica non dissimile da quello di STS. Tuttavia, il Dottor Sanchez ha rimarcato anche le differenze e le migliorie offerte da Dream Chaser rispetto al blasonato predecessore: il cross range teorico supera i milleseicento chilometri, e il veicolo può rientrare su pista praticamente da qualunque punto dell’orbita, raggiungendo un aereoporto degli Stati Uniti continentali in meno di sei ore. Altro punto sottolineato è la versatilità generale di Dream Chaser, che si esplicita nella sua capacità di “ridondanza dissimile”, ovvero il raggiungere il medesimo scopo utilizzando un sistema completamente differente da quello malfunzionante.
La fase 3 del programma CCDev potrebbe essere annunciata già il prossimo 7 febbraio, e SNC deve ancora completare diverse milestones della fase 2, come detto. Un elemento critico di tutto il progetto è dato dal fatto che il vettore Atlas V non è ancora autorizzato al lancio di esseri umani (“man-rated”). United Launch Alliance sta collaborando con Nasa per raggiungere questo risultato, concentrando gli sforzi principalmente sul sistema di rilevazione emergenze. La certificazione di Atlas consentirebbe di utilizzarlo anche per lanciare altre capsule ora allo studio, quali il CST-100 di Boeing e quella di Blue Origin.
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